Settant’anni fa l’incidente aereo del “Grande Torino”, in cui trovò la morte anche l’allenatore ungherese di origini ebraiche che alla guida della Nocerina sfiorò la promozione in Serie B

di Nello Vicidomini

Aveva quasi cinquantuno anni e ancora tanta energia e voglia di allenare Ernő “Ernst” Erbstein, quando il 4 maggio 1949 perse la vita insieme al “Grande Torino” in quella che divenne nota come tragedia di Superga. Quella sera, di ritorno da Lisbona, su quella collina, si scrisse la pagina più triste dello sport italiano.

Una squadra pluriscudettata e considerata la più forte d’Europa, capace di vincere contro tutto e tutti, si trovò ad affrontare il destino, non su un campo da calcio, perdendo senza alcuna possibilità di rimonta. Come un filo rosso, l’allenatore Egri Erbstein, a cui è intitolato il viale adiacente allo stadio “San Francesco”, unisce Torino e le due Nocera. Infatti, la leggenda granata si intrecciò circa venti anni prima con la storia dei molossi, facendo nascere un rapporto di amicizia nel tempo tra le due tifoserie, segnato da questo legame e dal ricordo comune. Egri Erbstein giunse a Nocera nell’estate del 1929 per guidare la formazione rossonera appena iscritta in Prima Divisione (terza serie dell’epoca). A tenere le redini del sodalizio c’era ancora il presidente Salvatore Buonocore, affiancato già dall’anno precedente dal colonnello Pavone, comandante del reggimento militare cittadino. Il tecnico ungherese poteva contare su Colombetti, Brindisi, Cavallo, Maccaferri, Di Clemente, Friuli, Cascone, Raktelj, Mortarini, Ceresoli, Accarino, ma soprattutto su Bertagna, schierandoli con il cosiddetto “metodo” a doppia W e con una rivoluzionaria idea di gioco, ai prodromi del “calcio totale” che segnerà la seconda parte del secolo. erbstein 1Arrivarono vittorie importanti contro Salernitana, Cagliari, Stabia e la squadra concluse il campionato 1929-30 alle spalle del Palermo capolista, a pari punti con Messina e Foggia e con un ruolino di marcia casalingo quasi da record. Erbstein fu osannato dai tifosi della Nocerina che in quell’anno iniziavano a respirare aria di grande calcio. Tuttavia, le difficoltà economiche ridimensionarono le aspettative, così i molossi rinunciarono alla Prima Divisione dell’anno successivo e lo stesso allenatore fu costretto ad andare via, accasandosi al Cagliari, con cui vincerà il campionato. Negli anni successivi ottenne grandi soddisfazioni con la Lucchese, portando la compagine toscana in massima serie. Mentre si trovava a Lucca, però, nel 1938 il regime fascista emanò le leggi razziali e Erbstein si stabilì a Torino dove poté iscrivere le figlie ad una scuola privata, poiché agli ebrei fu vietata l’istruzione pubblica, accettando di allenare i granata. Quando le leggi contro gli ebrei diventarono più stringenti, l’ungherese non poté fare altro che lasciare l’Italia, nonostante il sostegno del presidente Ferruccio Novo, che lo aiutò successivamente a rientrare a Budapest con la famiglia. Lo stesso presidente granata riuscì a fargli ottenere un lavoro presso una azienda edile di Biella, tanto da poter tornare, anche a periodi alterni, in Piemonte, complice anche del cambio di cognome in Egri, per renderlo più italiano.erbstein 2Fu in questo periodo che collaborò clandestinamente con il “Toro”, consigliando anche l’acquisto di Valentino Mazzola dal Venezia. Ma dal marzo 1944 le cose in Ungheria si complicarono con l’invasione delle truppe tedesche e Erbstein venne più volte catturato e liberato solo grazie ad uno stratagemma della figlia Susanna, che si finse crocerossina. Riuscì infine a scappare in Italia di nascosto e ad attendere la fine della guerra, insieme a sua moglie e alle sue due figlie. Rintracciato da Novo, ritornò ai granata in qualità di direttore tecnico della formazione che vincerà tutto e che prenderà il nome di “Grande Torino”. Qui Erbstein dimostrò tutte le sue qualità, soprattutto da preparatore fisico, costruendo una squadra capace di restare per sempre nella storia del calcio, nonché ossatura della Nazionale italiana. Il 4 maggio 1949, però, il tecnico ungherese e la squadra persero la vita nella tragedia di Superga, quando l’aereo che li stava riportando a Torino, dopo l’amichevole di Lisbona, si schiantò contro la collina dell’omonima basilica.

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