Altri 120mila euro di fondi pubblici ottenuti con un clamoroso errore sulla presenza di Bizantini-basiliani, la cui cultura è completamente estranea ai dipinti che si trovano nel luogo

di Vittorio Campagna

Nel 1996 in Olevano si afferma l’idea che monaci basiliani e pittori, fuggiti da Costantinopoli a causa della lotta iconoclasta (730-842), occupassero abusivamente la Grotta di Olevano e v’insediassero un monastero greco illegale: “Erano monaci greci, di ciò si è sicuri… detti basiliani… Reclamavano una certa indipendenza dalla Chiesa di Roma… e mostravano scarso ossequio per i vescovi di Santa Romana Chiesa)… I monaci, appena costruita la chiesa, avevano provveduto ad affrescarla”(1).

Da questa data tutti gli olevanesi si convertono al bizantinismo e pubblicizzano l’errore su tutti i siti mediatici, fino a concretarlo in un’impossibile “Messa Bizantina” che avrebbe dovuto rievocare i fasti del passato, grazie a fondi regionali per circa 120mila euro. L’autore, come quelli citati negli articoli precedenti, è in buona fede; ma secondo la sua descrizione, quei monaci più che religiosi sarebbero stati degli avventurieri! Il bizantinismo in occidente è sorto dal pregiudizio secondo cui l’impronta bizantineggiante contribuirebbe notevolmente ad aumentare il prestigio di un’opera d’arte a danno di altre culture. In realtà, nella Grotta ci fu solo un cenobio benedettino con una cultura campano-longobarda per i seguenti motivi:
1) Teologico. Il “Christus sub specie agni” affrescato nell’abside destra della piccola basilica esclude a priori che monaci basiliani avessero potuto affrescare la chiesetta, perché nel 693 il Concilio Trullano II decretò che Cristo non fosse più rappresentato sotto il simbolo dell’agnello, ma solo come figura umana. L’affresco fu proibito agli artisti orientali, ma non a quelli occidentali che hanno continuato ad affrescare il Cristo nelle due versioni pittoriche. L’agnello è un simbolo esclusivamente occidentale.
2) Storico: Non ci furono fughe disordinate di monaci ma solo esili (Teodoro Studita). La Chiesa di Roma accoglieva i fuoriusciti; i papi li ospitavano come esuli (Gregorio III,+741); rispettavano le loro tradizioni liturgiche (Paolo I,+767); fondavano per loro monasteri greci (Pasquale I, +824). Non avrebbero mai potuto occupare la grotta abusivamente e creare un monastero illegalmente.traditio legis et clavium3) Epigrafico: Tutte le iscrizioni degli affreschi sono latine. Nella Teoria dei dieci Santi s. Pietro è indicato dalle lettere S|anC|tu|S P|etrus|; nella Traditio legis et clavium i ss. Pietro e Paolo sono indicati dalle scritte PETRU|S| e PAULUS; nell’abside di destra il Battista e l’Evangelista sono indicati rispettivamente dalle lettere BAPTI ed EB|v|AN; San Vito è indicato dalla scritta S|an|C|tu|S BITUS; nella crocifissione di Cristo sul braccio verticale della croce si legge ancora la scritta in latino: IHS NAZARENU|s| RE|x| |JUDEORUM|; le iscrizioni del Sole (SOL) e della luna (LU|N|A) sono in latino; la scritta della Vergine: SCA MA = S|an|C|t|A MA|ria| è in latino; nell’Offerta della Chiesa sono riportate le lettere CAHE = |MI|CAHE|L| per identificare la figura di s. Michele. Non esistono assolutamente lettere greche.
4) Iconografico: nella teoria dei dieci santi sono affrescati un benedettino e san Benedetto, e non monaci basiliani o san Basilio; è presente san Pietro (che rappresenta Roma) e non sant’Andrea, patrono della Chiesa bizantina. A seguire, san Pietro è presente nell’affresco con Simon Mago davanti a Nerone, nella sua stessa crocifissione a testa in giù, in carcere visitato dall’angelo, e nella traditio legis et clavium. Nessun artista orientale avrebbe affrescato benedettini, san Benedetto e san Pietro con tanta continuità nella grotta solo per esaltare l’ordine benedettino e il vescovo di Roma, da cui avrebbero preteso “un’indipendenza cenobita”. Infine, l’affresco di san Vito (santo occidentale) conferma la cultura pittorica campano-longobarda. 
5) Le pareti affrescate della Chiesetta furono costruite tra il X e XI secolo, e gli affreschi sono coevi ad esse. È un racconto errato e anacronistico.

(1) (Geremia Paraggio, La grotta di San Michele e dintorni 1996, pp.47-48,55)

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