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Il delitto di maltrattamenti in famiglia sussiste anche quando i comportamenti violenti non sono rivolti ai bambini, ma li coinvolgono solo quali spettatori passivi, cagionando loro sofferenze morali

di Danila Sarno

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Un famoso proverbio recita: “l’amore non è bello se non è litigarello”; ma sarà vero? Sicuramente non è così per la Corte di Cassazione, come dimostra la sentenza numero 18833 del 2018, riguardante il caso di una donna accusata di maltrattamenti nei confronti dei figli, costretti ad assistere ai continui scontri sorti tra lei e il compagno convivente.

Si tratta della cosiddetta “violenza assistita”, consistente nell’aver obbligato più volte i bambini ad essere spettatori passivi delle condotte violente e offensive dei genitori. A nulla è valso il fatto che i figli dell’imputata non fossero mai divenuti essi stessi bersaglio diretto di comportamenti vessatori fisici o psicologici.

Secondo la Suprema Corte, infatti, il reato di maltrattamenti, di cui all’articolo 572 del codice penale, ha lo scopo di tutelare le persone che fanno parte della sfera familiare e che possono subire danni alla propria integrità psico-fisica a causa di comportamenti aggressivi maturati in quel contesto. I maltrattamenti non ricomprendono solo percosse, minacce, ingiuria, lesioni e altri atti costituenti di per sé reato, ma anche atti di disprezzo e offesa alla dignità che possono comportare sofferenze morali.

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Si tratta di situazioni che, all’interno delle mura domestiche, creano un clima di tensione e paura che può influire negativamente sui processi di crescita morale e sociale e sullo sviluppo della personalità, come dimostrato dalla scienza psicologica.
A causa della natura solo indiretta della relazione tra l’illecito e la vittima, è però necessaria una prova rigorosa non solo dell’abitualità della condotta ma anche del fatto che essa abbia provocato uno stato di sofferenza psico-fisica negli spettatori passivi.
Nel caso di specie, tuttavia, la Corte d’Appello si è limitata a richiamare nella sentenza la conclusione del consulente tecnico, senza aver verificato l’effettiva sofferenza cagionata ai figli dal rapporto conflittuale dei genitori. Per questo motivo la sentenza è stata annullata per difetto di motivazione, ma non vi sarà alcun rinvio poichè nel frattempo il reato si è prescritto.

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