Donna passionale ed assoluta, figlia di un’attrice di prosa, diede vita al verbo “bertineggiare”, pronto a simboleggiare gesti di disperazione plateale

di Anna Vittoria Fattore

Il divismo cinematografico non nacque ad Hollywood, come spesso si pensa, bensì in Italia grazie ad un’attrice conosciuta con lo pseudonimo di Francesca Bertini.

Battezzata Elena Seracini Vitiello e nata a Firenze nel 1892 da un trovarobe napoletano e da un’attrice di prosa fiorentina, esordì per la prima volta nel mondo del cinema nel 1908 con il film “La dea del mare” diretto da Salvatore Di Giacomo. La voce gutturale non fermò la sua scalata verso il successo e da un’infanzia trascorsa a Napoli decise di trasferirsi nella “Città Eterna” dell’epoca. Prima si presentò con il nome di Franceschina Favati, poi come Cecchina Bertini ed infine, conservando il cognome del suo precedente pseudonimo, optò per il nome Francesca. Nel 1914 ottenne il suo primo ruolo da protagonista nel film “L’Histoire d’un Pierrot” di Baldassarre Negroni, famoso cineasta del tempo.
Il vero successo arrivò nel 1915 con il film “Assunta Spina“, primo esempio cinematografico di realismo napoletano.
“E chi poteva fermarla? Se non era convinta di una certa scena, pretendeva di farla secondo le sue vedute”. Queste le parole del regista Gustavo Serena sull’intraprendenza della Bertini. Nello stesso anno fu coniato per lei il termine “Diva”, pronto a valorizzare lo straziante e fatale atteggiamento dell’attrice sullo schermo. Abiti fatti su misura per lei ed il tè delle cinque in grandi alberghi, queste le sue consuetudini prima di calcare le scene. Donna passionale ed assoluta che diede vita al verbo “bertineggiare”, pronto a simboleggiare gesti di disperazione plateale. Carica d’entusiasmo fondò la Bertini film, pronta a portare sullo schermo la trasposizione cinematografica dell’opera di Eugène Sue, “I sette peccati capitali”. Il successo sperato non arrivò mai e Francesca decise di ritirarsi in una clinica per un po’ di tempo. In seguito sposò il banchiere svizzero Alfred Cartier interrompendo per molto tempo la sua carriera, rifiutando un contratto con William Fox intenzionato a portarla ad Hollywood. Una sua inattesa apparizione arrivò nel cult “Novecento” di Bernardo Bertolucci, in cui in un breve cameo vestì i panni di una suora. Nel 1982 il regista Gianfranco Mingozzi la riportò alla luce con “L’ultima Diva”, documentario sulla sua vita. Donna ambiziosa ed affascinante, capricciosa ma mai eccessiva nella sua inconfondibile espressività. Una vera e propria icona pronta a dirigere qualsiasi set, soprattutto quello della propria vita, raccontata nell’autobiografia “Il resto non conta” del 1969. Attrice indimenticabile che fece della sua spontaneità un’arte.

Di Gigi Di Mauro

Giornalista con esperienza quasi quarantennale, è educatore e pedagogista clinico. Da oltre un ventennio si dedica allo studio della storia comparata delle religioni, ottenendo nel 2014 dal Senato accademico dell'MLDC Institute di Miami una laurea Honoris Causa in studi biblici. È autore di alcuni saggi, tra i quali uno sulle bugie di storia e religione

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