Il carabiniere di Nocera Superiore ammalato di tumore per le missioni all’estero ricorda l’amico ranger Antonio Attianese e alza la voce contro lo Stato: «Solo l’Arma mi è vicina!»  

«Lo Stato non può ignorarti per tanto tempo e poi presentarsi al tuo funerale con una corona di fiori. È una presa in giro!». Non ci sta Francesco De Angelis, 52 anni, brigadiere dei carabinieri in congedo e – come il ranger Antonio Attianese, deceduto a Sant’Egidio Monte Albino il tre giorni fa –  affetto da tumori contratti a causa dell’uranio impoverito usato nelle missioni di pace all’estero dall’Esercito Italiano.

Francesco De Angelis è stato – tra il 1999 e il 2005 – in Bosnia, in Albania, nel Kosovo, sempre a contatto con proiettili contenenti il pericolosissimo minerale. Per la cronaca, quella corona mandata dallo Stato la moglie di Antonio Attianese l’ha respinta con sdegno.
«È davvero grave che qualcuno nello Stato si preoccupi di “far morire dignitosamente Totò Riina”. E noi che lo Stato lo abbiamo servito portando alta la bandiera dell’Italia che siamo, forse immondizia? La nostra dignità non esiste, dal momento che da anni si rifiutano di riconoscerci quei diritti che ci spettano?».
– Ecco, in realtà voi vittime dell’uranio impoverito che chiedete?
«Che lo Stato ci riconosca la malattia come contratta per causa dei servizi all’estero. Non chiediamo la luna, ma assistenza, vicinanza, anche una pacca sulla spalla. Ma tutto questo non c’è. Per sopravvivere dobbiamo sottoporci a continui accertamenti che lo Stato non ci passa. Cose che poi gravano sulla nostra famiglia, sui nostri figli. Io ho fatto il carabiniere con onore e dignità, così come Antonio aveva fatto come ranger. Ed ora, che ci siamo trovati? Antonio solo la sua famiglia per tredici anni. Io solo la vicinanza e l’affetto dei miei commilitoni dell’Arma, che ringrazio dal profondo del cuore, non dello Stato. Tornando a Riina, vale più un mafioso o un carabiniere, un ranger, un aviere, un marinaio?»
– Perché secondo te lo Stato continua a latitare sulla vicenda?
«Sinceramente non me lo spiego. La cosa gravissima è che per ottenere il riconoscimento io e gli altri che stanno morendo dovremmo andare a cercare e presentare le prove di aver contratto la malattia durante il servizio. Dovrebbe invece essere il contrario, con lo Stato a dimostrare le origini della nostra malattia. Lo Stato si assuma le responsabilità dell’averci mandato in missione a contatto con l’uranio e ci assista, consentendoci di morire dignitosamente senza mandare sul lastrico le nostre famiglie, e garantendo loro una vita dignitosa anche dopo la nostra morte! E se non ascoltano noi oggi, come posso immaginare che ascolteranno le nostre vedove?»

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