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È quanto emerge da un’inchiesta del “The Guardian”, che grazie ai cosiddetti “Facebook Files”, documenti top secret della società, è riuscito a evidenziare un fenomeno negativo, in continuo aumento

di Francesca Melody Tebano

I moderatori di Mark Zuckemberg ne hanno di lavoro da svolgere: sono incaricati di controllare tutti contenuti che girano su Facebook e segnalare quelli violenti, sul terrorismo, le fake news e soprattutto post, articoli e quant’altro a sfondo sessuale e pornografico.

Questo team deve rispettare i Facebook Files, ovvero delle linee-guida dettate dalla società su cosa o no si può pubblicare sulla home. Sono concesse, per esempio, le foto di baci a bocca aperta, simulazioni di rapporto sessuale, ma anche attività sessuali pixellate. Viceversa, sono vietate le foto esplicite, quando segnalate. Ma non solo, Facebook è alle prese con accaduti più gravi, i “revenge porn”. Si tratta di casi in cui viene sfruttato i social per una vendetta sessuale. Nello specifico, sono le diffusioni di immagini o video a sfondo sessuale, con l’intento di danneggiare una determinata persona.
Pensate, che a gennaio i moderatori hanno segnalato all’azienda questi dati allarmanti: 51.300 potenziali casi di revenge porn, 33 degli episodi analizzati coinvolgevano anche bambini, vanno aggiunti 2.450 casi potenziali di “sextortion”, ovvero il tentativo di estorcere denaro, o altre forme di pagamento, a un individuo. Un totale di quasi 54mila casi, non in un anno, ma bensì in un solo mese e una mole di lavoro non indifferente per l’intero staff, che ha dovuto disattivare 14mila account coinvolti.
Purtroppo, il revenge porn rappresenta un grande problema. Innumerevoli sono i casi accaduti di questo genere, raccontati dai media nel corso degli anni.
La piattaforma social si impegna costantemente per cercare di eliminare il fenomeno, purtroppo, ancora, con scarsi risultati. Forse, un miglioramento ci potrà essere con l’ultima trovata di Facebook, ovvero l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per impedire la condivisione virale dell’immagine lesiva.

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