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L’intervento di “Alma”: «Oggi, come tante cose che ci circondano, è diventato un contenitore, dove non si incoraggia ad essere orgogliosi di qualche eccellenza passata»

 

Caro Direttore,

tu lo sai del cordone ombelicale che mi lega al mio amato giornale cittadino: ha letteralmente visto i miei primi vagiti, e non solo letterari, giacché in un ‘Mosconi’ del luglio 1956 fu annunciata coram populo la mia nascita (che peccato non poter indagare in un archivio)!

Per cui, la prima idea che mi è venuta, dopo che mi è saettata una certa ispirazione – noiosissima, scoppia d’improvviso, mentre sto facendo anche le cose più prosaiche… – è stata quella di riprendere i panni di Alma, ormai deposti 36 anni fa o giù di lì, e seguire il filo di una certa fantasia.
Il casus belli me l’ha procurato l’incontro, alla fine della Lectura Dantis Metelliana di mercoledì scorso, con il professor Gennaro Apostolico, colonna del corpo docente del Liceo Classico “Giambattista Vico” dei tempi in cui ero studentessa. Nostalgia chiama nostalgia, mi sono trovata in sospiroso amarcord a rievocare le glorie del Liceo che ho frequentato e che, a mio avviso, rimangono, oggi, ingiustamente appannate. E avendo un marito che, 14 anni prima di me, per quel Liceo c’è passato, ho la conferma che, a meno che non si sia intellettualmente aridi come il Deserto dei Gobi, la frequenza del Classico dona un imprinting incancellabile rispetto ad altre persone che lo hanno accuratamente evitato. Sono stata una saccente sgobbona si può dire dalla culla e, ascoltando già da piccolissima i discorsi in casa, udivo rimembrare i fasti di un Liceo che sempre si distinse sia per gli ottimi insegnanti che ebbe, sia per il successo conseguito da certi suoi allievi culturalmente dotati. Ho fatto in tempo ad avere il privilegio di godere dell’insegnamento di grandi professori e di straordinari presidi (ah, dimenticavo che la burocrazia li ha ribattezzati dirigenti scolastici, erodendo loro, a mio avviso, l’aura di autorevolezza), una stagione chiusasi col compianto Francesco Fasolino, umanista ‘vero’.
Correndo con la mente indietro nei decenni, mi sovvengono due nomi fra tutti (invito i lettori a rimpinguare questa mia scarna lista) degli ex alunni del “glorioso G. B. Vico”: Michele Lener, compagno di studi di mio nonno e Michele Prisco, amico di Liceo di mio zio Pierino.
Mi stupii, l’anno scorso, trovandomi per motivi professionali a discorrere col presidente e col vicepresidente dell’Ordine degli Avvocati di Milano, Remo Danovi ed Enrico Moscoloni, gli accenti commossi che ebbero allorché nominai Michele Lener, vero principe del Foro meneghino. Il secondo aveva addirittura le lacrime agli occhi nel rievocarlo, giacché era stato praticante nello studio di questo grande nocerino. Ed io mi sentii orgogliosa che fosse stato amico della mia famiglia e di avere delle foto sue in compagnia di mio nonno, Mario Barbato, anche lui avvocato. 
Di Michele Prisco, poi, grande scrittore contemporaneo e la cui sorella, Emma, sposò un Gabola, a casa mia c’era il culto e zio Pierino mi raccontò di essere stato molto contento quando, nel 1949, con il suo romanzo ‘La provincia addormentata’, vinse la medaglia d’oro come opera prima al Premio Strega. Un successo al massimo premio letterario italiano che bissò nel 1966 con ‘Una spirale di nebbia’. In quegli anni vivevo a Napoli ed ero, a mia volta, compagna di scuola al Sacro Cuore di sua figlia Annella.
L’altra gloria letteraria nocerina, ovvero Domenico Rea, il liceo classico non lo usmò neanche da lontano: fu rapace autodidatta e tale rapacità gli rimase anche nei rapporti umani, specie con l’altro sesso. E poi lui Nocera la rinnegò e la dileggiò, tipico atteggiamento di chi si era sentito escluso da una certa cerchia della borghesia.
Divago, torno al “G. B. Vico” e spiego il perché di questa mia intemerata. Sento che rimango l’ultima dei Mohicani ad avere fierezza di quella che fu una grande scuola, la quale ebbe fama di incubatore di persone colte e raffinate, coltivate da insegnanti di grande finezza intellettuale. Oggi, come tante cose che ci circondano, è diventato un contenitore, dove non si incoraggia ad essere orgogliosi di qualche eccellenza passata. Si sfornano persone senza storia, che si accontenteranno dell’aurea mediocritas, depresse dalle sempre più misere prospettive del precariato; l’ambizione si limiterà ad una tendenza all’arricchimento per pavoneggiarsi coi simboli esteriori di un supposto successo, come il Suv, il Rolex o l’abito firmato. Mentre il vero gioiello da esibire sarebbe la nostra cultura e il nostro cervello, cesellati in un liceo classico che li valorizzi. Ahimé, caro Direttore, paio proprio una vecchietta lamentosa, ma vedere il mio amato liceo diventare una scuola ‘qualsiasi’ proprio mi fa venire un groppo in gola.    

Annamaria Barbato Ricci

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