«Non vi lasceremo soli, tutto sarà ricostruito». Ma la paura è che, ora come allora, molto rimanga esattamente così com’è oggi: lacrime e distruzione

di Rosalba Canfora

Alle 19:34 una forte scossa di terremoto del settimo-ottavo grado della scala Mercalli, equivalente ad una magnitudo 6.8, della durata 80 interminabili secondi da incubo, ha fatto tremare la terra, portando distruzione, devastando e, addirittura, cancellando in un attimo interi paesi. E’ stato subito il caos, la gente impaurita si è riversata in strada, le linee telefoniche in tilt … Un enorme boato e dalle visceri di una terra, da sempre “ballerina”, si è sprigionata un’onda di una violenza catastrofica, pari allo scoppio di un milione di tonnellate di tritolo …

I più attenti noteranno che l’orario e la magnitudo non coincidono: sono quelle del nostro terremoto, e le parole stralci di un articolo sul terremoto di domenica 23 novembre 1980, “ il nostro” come lo chiamiamo un po’ tutti, quasi affettuosamente, che colpì un’area di 17mila chilometri quadrati: dall’Irpinia al Vulture, a cavallo delle province di Avellino, Salerno e Potenza. Con le prime luci dell’alba, dopo una notte trascorsa in strada, solo la prima di tante (ma allora non lo sapevamo ancora) cominciammo a renderci conto delle dimensioni catastrofiche dell’accaduto: erano venuti giù palazzi interi, altri erano stati sventrati e c’erano macerie ovunque nelle nostre zone colpite da una scossa con intensità minore … cosa era accaduto nelle zone dell’Irpinia, allora? Teora, Castelnuovo di Conza, e Conza della Campania come Amatrice, Cumoli piuttosto che Norcia: interi paesi si erano sgretolati come i mattoncini delle costruzioni Lego e molti erano i morti.
Cambiano i nomi, ma non il dolore per la perdita delle persone care, la paura per le continue scosse, lo sconforto per aver perso i sacrifici di una vita, le lacrime durante le notti in macchina cercando di non farsi vedere dai bambini, lo sguardo perso nel vuoto, il pensiero verso un domani che sembra non intravedersi all’orizzonte.
Le promesse sono sempre le stesse: “non vi preoccupate, non vi lasceremo soli”, “ricostruiremo tutto come prima, più bello ancora, se possibile”, “per adesso starete nelle tende, tra un mese arriveranno i moduli abitativi provvisori per affrontare l’inverno”.
Anche le speranze sono sempre le stesse. A distanza di 36 anni (mancano ormai una ventina di giorni all'”anniversario”), però, devi constatare che “molto è rimasto com’era, molto di quanto promesso non è stato fatto e che in alcune zone i “moduli abitativi provvisori”, cioè le baracche, sono stati dismessi solo di recente.
Anche le polemiche sono sempre le stesse. Ecco perché oggi il pensiero va solo a quanti è stato rubato il futuro dalle macerie dell’Italia del terremoto.

 

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