Secondo una Commissione tributaria, il sistema scova evasori sarebbe inutilizzabile in quanto discriminatorio e lesivo della privacy, nonché previsto da decreti emanati in difetto di potere
di Danila Sarno
Il sistema utilizzato dall’Agenzia delle entrate per individuare i frodatori fiscali, il cosiddetto redditometro, deve essere abolito. È quanto ha affermato la Commissione tributaria provinciale di Catania, accogliendo il ricorso proposto da un contribuente contro alcuni avvisi di accertamento.
Secondo i giudici lo strumento di valutazione della capacità di spesa fondato su coefficienti e dati tratti da decreti ministeriali è inapplicabile. Proprio tali decreti sarebbero nulli ed illegittimi in quanto emanati dal Governo in carenza di potere e difetto assoluto di attribuzione.
A ben vedere, i motivi di critica alla suddetta disciplina ministeriale sono numerosi. In primo luogo essa risulta contraria alla normativa comunitaria e costituzionale per l’eccessiva estensione dell’indagine fiscale, riguardante non solo il contribuente, ma anche i soggetti appartenenti al suo nucleo familiare. Il meccanismo elimina ogni forma di riservatezza e dignità, giacché esso non richiede la conservazione di specifiche voci di spesa, ma di tutte le spese sostenute dal soggetto, comprese quelle attinenti agli aspetti più sensibili della vita privata (spesa farmaceutica, educazione della prole, vita sessuale ecc.). La conseguenza è che l’autorità esecutiva si è auto attribuita la facoltà di violare la privacy di ogni cittadino, mentre l’Agenzia delle Entrate ha un potere maggiore di quello della mera ispezione fiscale autorizzato dalla Costituzione.
Per di più il redditometro, individuando solo cinque aree geografiche, è altamente discriminatorio; non prevede una sufficiente differenziazione territoriale tra soggetti che abitano in zone diverse per capacità di spesa e finisce col ricomprendere, all’interno di una singola tipologia, contribuenti molto diversi tra loro.
Risulta infine leso il diritto di difesa di cui all’articolo 24 della Costituzione: non essendo possibile provare ciò che non si è comprato, non si può neppure dimostrare di aver speso meno di quanto indicato dalle medie Istat.
Insomma un sistema che andrebbe assolutamente modificato, considerato che “l’ipotesi di spese minori di quelli presuntivamente ancorate alle medie non sono improbabili ma assolutamente certe: ed infatti se vi è una media di spesa significa che sono state registrate nella realtà economica fasce di oscillazione da un minimo a un massimo, sicché è certo che coloro che si troveranno al di sotto di tale media si vedranno attribuire consumi non sostenuti”. Per la Commissione dunque gli accertamenti basati su tale sistema sarebbero da considerarsi non validi e le contestazioni fiscali nulle.