Proposta la riforma del codice civile che potrebbe introdurre anche in Italia i patti che regolano in anticipo i rapporti economici tra sposi in vista del divorzio

di Danila Sarno

Bando al romanticismo: in Italia il cinquanta per cento dei matrimoni termina con un fallimento, spesso seguito da lotte estenuanti per mantenimento, trasferimenti di proprietà eccetera.

Certo, attualmente i coniugi possono regolamentare i propri rapporti patrimoniali scegliendo tra comunione legale e separazione dei beni, ma questo spesso non è sufficiente. Un rimedio sarebbe quello di servirsi degli accordi prematrimoniali, ossia patti che consentono ai futuri sposi di disciplinare, prima del matrimonio, i loro rapporti economici e personali anche nell’ottica di un’eventuale crisi dell’unione. Nel nostro ordinamento, tuttavia, tali convenzioni sono nulle perché, da un lato, incidono sui diritti “indisponibili” e, dall’altro, hanno una causa illecita poiché idonei a limitare il diritto di difesa in un futuro procedimento di divorzio.
Ciò nonostante, considerate le novità introdotte dalla legge sulle unioni civili e la recente propensione della giurisprudenza a riconoscere la libertà dell’autonomia privata anche all’interno del diritto di famiglia, sarebbe davvero difficile negarne l’utilità.
Proprio a questo riguardo, nel 2014, è stato presentato un disegno di legge per l’inserimento nel codice civile dell’articolo 162-bis, che dovrebbe permettere alle parti di accordarsi su aspetti quali ad esempio la successione, la sorte di beni mobili e immobili, le modalità e rinuncia al mantenimento(fatto salvo il diritto agli alimenti). La forma scelta, a pena di nullità, è stata quella dell’ atto pubblico redatto da un notaio alla presenza di due testimoni ovvero la convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati.
Affinché tali accordi non siano contrari ai principi dell’ordinamento, e soprattutto all’ordine pubblico e al buon costume, si potranno regolamentare unicamente i diritti disponibili, senza incidere su diritti ed obblighi inderogabili derivanti dal matrimonio. Dunque sarebbero inammissibili i divieti di iniziare forme di convivenza o di recarsi in una determinata città, le promesse di “mantenersi in uno stato di fedeltà post-coniugale”o gli accordi relativi agli status (ad esempio  mi impegno a non divorziare ) o quelli che limitano il diritto di difesa attraverso la rinuncia ad agire o a costituirsi in giudizio.
L’istituto da molto tempo contrappone chi lo definisce una sorta di “testamento del matrimonio” e chi crede che esso consenta di avvicinarsi alla vita coniugale con maggiore riflessione e sicurezza, chiarendo le questioni patrimoniali prima che i rapporti tra coniugi diventino troppo tesi e tutt’altro che pacifici.
Resta dunque da attendere la decisione del legislatore, per capire se il detto “patti chiari, amicizia lunga” potrà valere anche in ambito familiare.

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