La Nocerina conquistò, dopo una entusiasmante partita con il Foggia, la cadetteria per la terza volta nella sua storia. Sono cambiate tante cose, tranne una: l’amore per il bicolore

Il momento del fischio finale a Foggia e l’esultanza dei tifosi molossi

di Marco Stile

Fu un Sabato Santo particolare, e a tavola c’era una spezia diversa dalle solite. Quell’aroma era tutto rossonero, ed ancora oggi profumi, colori e sapori mi attraversano la mente, riempiendomi i cinque sensi. Uno di questi, l’udito, era concentrato sulle radioline che trasmettevano dallo “Zaccheria” di Foggia, teatro di una partita di calcio discretamente importante.

La Nocerina di Gaetano Auteri, quel giorno, aveva (quasi) stravinto il campionato. Diciamo ‘quasi’, perché chi è davvero forte non solo straccia la concorrenza, ma decide addirittura quando festeggiare. Sì, la vera potenza sta in questo: avere la capacità di modificare il naturale corso del fato. Il programma, infatti, diceva di celebrare la promozione in Serie B il 17 aprile, la domenica precedente. Una sciagurata gara contro la Juve Stabia, però, convinse i sostenitori rossoneri (diecimila? A me parvero milioni) a riporre i festoni nel cassetto. Fu quasi maleducato, dunque, per quella squadra, scegliere proprio un giorno religioso per salire di categoria. 
La banda Auteri partì abbastanza bene: tre pareggi tra Pisa, Cavese e Benevento. Niente per cui spellarsi le mani, ma qualcosa si muove: Barletta e Viareggio vengono superate tra le mura amiche. Una débacle, quella di Siracusa, fa tornare i molossi sulla terra: non è ancora il caso di spiccare il volo, meglio ragionarci su.
Nessuno avrebbe immaginato che quella squadra, da quel giorno fino allo Stabia, non avrebbe mai più perso. Atletico Roma 2, Nocerina 3. Qualcosa inizia a serpeggiare nelle tribune dell’impianto dedicato al santo umbro. A Terni lo 0-3 per i ragazzi di Auteri è storia: dopo un trentennio, molossi in vetta da soli in un campionato di terza serie. 
Un primato che ‘sua maestà’, come recitava una filastrocca, terrà stretto tra i denti e non mollerà più. Si è autorizzati a sognare: raramente si sono visti concetti estetici applicati così su un prato verde. La strada si fa in discesa: si pareggia (poco) e si vince (sempre). La concorrenza è presto stracciata: Nocera è pronta alla festa, grande, grandissima, durata un mese e più. 
Non avevo mai sentito parlare con tanta magia di niente come quando chiedevo a papà della seconda lettera dell’alfabeto. Erano parole in bianco e nero: mancavamo nell’anticamera dei grandi del calcio dal lontano 1978. Quando vidi materializzarsi ciò che pareva solo trascendenza semplicemente sembrava di vivere in una realtà troppo bella per essere vera. 
La città tutta, la mia classe del liceo, erano addobbate a festa già da mesi, con locandine, bandiere, festoni e tutto ciò che richiamasse al collante di un’intera comunità. Perché l’emozione non si confina alla domenica, ma vive dentro di noi e smuove le corde più profonde del nostro animo. È amore, guai a sminuirlo.
Cosa resterà? Sicuramente, un mantra: “Gori; Pomante, De Franco, Di Maio; Scalise, Bruno, De Liguori, Bolzan; Catania, Castaldo, Negro”. Domenica a Scafati mi sono passate davanti le immagini di quel Sabato Santo. Ci sono momenti, nella vita di uno sportivo, in cui capisci che non importa se sei nei campi di periferia o a “San Siro”. Ciò che importa davvero è che il tuo cuore continui a pulsare sangue di due colori: rosso come il fuoco, nero come le tenebre. 

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