Officina scuola … mancano solo pochissimi giorni. Abbiamo parlato tanto anticipando contenuti, protagonisti, ma non posso chiudere questa rassegna senza parlare di lui, Luca Scalzullo, il mio collega e compagno d’avventura da due anni. Sì, solo da due anni è arrivato nella Scuola “Solimena-De Lorenzo”, il tempo sufficiente per far “bollir gli animi”, diciamo così, tanto tra addetti al settore, ci intendiamo

Luca raccontaci un pò di te, di cosa ti occupi?

Si fatica sempre a parlare di sé, troppo difficile non autocelebrarsi e troppo facile essere particolarmente severi. Tanto vale, però, provare. Sono Ingegnere Chimico. Che cosa fa un Ingegnere Chimico? Bella domanda e magari, quando vi capita una risposta accettabile, fate un fischio.

 

Scherzi a parte, ho sempre inteso la mia professione come immediatamente discendente da quella degli antichi alchimisti, depositari di sapere e capaci di modificare la materia.

Ho lavorato per anni come ricercatore associato presso il City College della City University of New York City ed all’Università degli Studi di Salerno. Ho fatto Consulenza e la libera professione per molti anni prima di approdare definitivamente nel mondo della scuola non senza qualche perplessità. Sognavo di viaggiare, di girare il mondo con il mio lavoro, di costruire impianti, di produrre energia e di alimentare città. Poi sono finito in una scuola media di una piccola città della provincia di Salerno (Nocera Inferiore ndr) per scoprire che quel mondo che volevo girare era tutto negli occhi dei miei studenti (rubo la frase al mio amico Alfonso D’Ambrosio che mi perdonerà per questo), che quell’energia che volevo produrre era tutta nel loro mondo interiore e che le città che volevo alimentare sono quelle costruite sulla curiosità dei miei ragazzi.

Oggi mi occupo di loro, cerco di avvicinarli al mondo della scienza, di trasferire loro le mie esperienze e di fargliene fare altre insegnando loro non solo i principi teorici, ma un metodo, una strada, un modo di approcciarsi al non noto e trasformarlo in una grande avventura verso la conoscenza.

Parlare di Digitale a Scuola, oggi, significa affrontare anche temi spinosi quali la didattica. Cosa pensi del connubio tra didattica e digitale?

Forse occorre parlare di didattica prima che di digitale. Insegno da solo due anni e mi permetto di vantare ancora uno sguardo disilluso sul mondo della scuola. Lo guardo ancora con gli occhi del neofita voglioso di imparare e che nota, evidentemente, prima lo stridore dell’anacronismo dilagante presente oggi nelle nostre aule.

La cattedra, le lezioni frontali, la trasmissione verticale di vetero-nozionismo è ancora la didattica dilagante e che, purtroppo, non sa di essere ormai sepolta ed estinta come i dinosauri.

Mi viene in mente un film di animazione molto molto divertente, Monsters & Co. Nel film i mostri, per alimentare di energia della città in cui vivevano, spaventavano i bambini di notte traendo energia dai loro spaventi, salvo scoprire, alla fine che, con le loro risate, si produceva molta più energia.

Ecco su cosa basare la rivoluzione necessaria. Se parliamo con i nostri studenti, se li coinvolgiamo in un discorso educativo che li veda soggetti e non più destinatari, se insegniamo loro la via dell’autonomia dell’apprendimento, se gli concediamo di scegliere una via, di sbagliare con allegria e di imparare dagli errori senza che vi siano paure inconsapevoli di pubbliche fustigazioni, insomma, se guardiamo ancora nei loro occhi ed allora avremo studenti, avremo cittadini, avremo persone capaci di camminare da sole.

Ecco cosa penso. Il digitale? Un mezzo straordinario evidentemente. È il loro linguaggio, è nel loro modo di comunicare ed imparare, è nella loro quotidianità. Non proibiamo l’uso del digitale, ma spingiamolo. Non togliamo loro i cellulari, ma lasciamoglieli. Parliamo il loro linguaggio e loro ci seguiranno ovunque.

La deriva del concetto, tuttavia è dietro l’angolo. Troppi colleghi cadono in un facile entusiasmo che trasforma il digitale in un fine da raggiungere. Intendiamoci, se uno studente viene a scuola con un foglio liso e stropicciato, malamente disegnato e vergato con poche parole e ne tira fuori una lezione di circa quaranta minuti tenuta davanti ai suoi compagni, beh allora, per lui, il digitale non è obbligatorio. Resta tuttavia un mezzo straordinario per aprire una porta e affiancarsi ai nostri ragazzi.

C’è un’implicazione che rende scomodo questo approccio. Il ruolo dell’insegnante non è più centrale, ma è un ruolo apparentemente marginale, di chi, senza apparire, permette al suo gregge di camminare con le sue gambe, di scegliere l’erba da brucare, di procedere autonomamente nella strada verso la conoscenza, di superare gli ostacoli che di volta in volta si presentano. È tremendamente faticoso perché ogni ragazzo diventa classe e merita specifiche attenzioni, ma quanto è gratificante accorgersi che la propria conoscenza, trasferita così, non solo non diminuisce, ma, con tanti feedback positivi, finisce addirittura per accrescersi.

 

Il convegno Officina Scuola si tiene in una provincia del Sud, cosa ha da dire ed offrire il Sud in termini educativi? ha senso parlare di una educazione digitale come volano per la futura economia del territorio?

Beh mi sembra sbagliato parlare di educazione, didattica e crescita in termini di Nord e Sud. Ma non si può negare che troppo spesso tali processi sembrano essere isolati e sembrano lasciare il SUD un una condizione di arretratezza organizzativa evidentemente culturalmente discriminante a fronte delle tante eccellenze mostrate.

In questo senso l’iniziativa di Officina Scuola e l’idea del prof. Alfonso D’Amborsio assume una valenza straordinaria, non solo per il territorio in sé, ma perché sembra dare la stura e l’abbrivio a quella voglia di collaborare, creare e condividere che è alla base di una crescita culturale comunitaria.

Impatti sulla economia del territorio? La dico semplicemente così. Se trasformiamo i nostri ragazzi e le nostre future generazioni, non già in passivi fruitori di tecnologia, ma in soggetti pensanti capaci di cavalcare le onde dell’innovazione, non è inasano pensare a che passi in avanti può fare il nostro SUD.

 

La scuola è un tempio di cultura, secondo , molti, e deve restare un punto di riferimento, fisso. Cosa ne pensi?

Beh il tempio mi suggerisce un’idea fissa, immobile, dogmatica. Preferisco immaginare un giardino fatto di persone più esperte, noi insegnanti, e giovani leve impegnati a raccontarsi il mondo, ad osservare i suoi cambiamenti, le sue leggi ed a sperimentarle che siano esse scientifiche, tecniche, umanistiche o sociali, in uno scambio culturale che modifichi giorno dopo giorno il sapere accrescendolo  da entrambe le parti.

Deve restare un punto di riferimento? Certo, qualora si riesca a rivoluzionarlo in questa maniera. Sarebbe bello prolungarne la durata, modificarne gli spazi, riorganizzarne i tempi, ma qui si va su binari complicati.

Resto ancorato al mio modo di fare non convenzionale, sperando, chissà, di vederlo diventare sistema.

Di Gigi Di Mauro

Giornalista con esperienza quasi quarantennale, è educatore e pedagogista clinico. Da oltre un ventennio si dedica allo studio della storia comparata delle religioni, ottenendo nel 2014 dal Senato accademico dell'MLDC Institute di Miami una laurea Honoris Causa in studi biblici. È autore di alcuni saggi, tra i quali uno sulle bugie di storia e religione

Lascia un commento