La Cassazione ha stabilito che assecondare l’atteggiamento dello stalker fa venire meno il presupposto della radicale alterazione della vita quotidiana della parte offesa
di Danila Sarno
In Italia, negli ultimi anni, lo stalking si è confermato essere una delle forme più comuni di limitazione dell’autonomia e della serenità altrui. Si tratta di un tipo di persecuzione che può manifestarsi in molteplici aspetti quali appostamenti, pedinamenti, atti vandalici allusivi: insomma qualunque comportamento oppressivo capace di creare un clima di paura ed ansia. È indubbio che tale fenomeno ponga l’esigenza di una delicata tutela della parte lesa e, tuttavia, l’attuale disciplina legislativa dà luogo a non pochi dubbi interpretativi: ad esempio, chi potrebbe mai pensare che replicare ai messaggi o alle chiamate del proprio persecutore escluda la configurabilità del reato di stalking?
Eppure è quanto si evince dalla sentenza numero 9221 del 2016, con la quale la Corte di Cassazione si è pronunciata su una causa che vedeva protagonisti una coppia di giovani, da tempo legati da un rapporto sentimentale conflittuale, a cui la ragazza aveva deciso di porre fine in ragione della morbosa gelosia del fidanzato. Quest’ultimo aveva reagito con continue intimidazioni e messaggi telefonici a contenuto minaccioso, che avevano spinto l’ormai ex fidanzata a mutare le proprie abitudini quotidiane. A seguito di ciò, però, la giovane donna non aveva preso le distanze dall’indagato, ma aveva continuato ad intrattenere con lui dialoghi telefonici, incoraggiando il suo modo di agire e addirittura concedendogli un incontro chiarificatore.
Come chiaramente previsto dall’articolo 612 bis del Codice Penale, il reato di atti persecutori si fonda su due presupposti: da un lato la reiterazione del comportamento minaccioso, dall’altro che esso sia in grado di cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura o un fondato timore per la propria incolumità, o che sia in grado di costringere ad alterare le proprie abitudini di vita. A detta della Suprema Corte, nel caso in questione,può sicuramente considerarsi sussistente il requisito della ripetizione della condotta ( poiché risultano sufficienti anche due soli comportamenti in successione tra loro, anche se separati nel tempo), ma contemporaneamente è inesistente il presupposto delle condotte molestatrici assillanti e pregiudizievoli ( poiché non ostacolate, ma anzi assecondate).
Una decisione che desta molte perplessità e che farà discutere, soprattutto in termini di carenza di tutela offerta alla vittima, che potrebbe rischiare di non ottenere giustizia soltanto per non essere a conoscenza delle conseguenze che scaturiscono dal rispondere alle minacce dello stalker.