Un’originale sentenza della Corte chiarisce che non configura reato offrire una modica somma di denaro ad un ufficiale di Polizia per evitare di dover pagare una multa
di Daniela Sarno
Alzi la mano chi non ha mai desiderato tentare il tutto per tutto per poter sfuggire ad una multa troppo salata, dopo essere stato fermato ad un posto di blocco ed aver infranto il Codice della strada. Un modo piuttosto semplice e (a detta della Corte di Cassazione) del tutto lecito, per convincere il pubblico ufficiale a chiudere un occhio, è quello di offrirgli una somma di denaro non molto elevata.
Strano ma vero: è quanto accaduto ad un uomo di 38 anni che, dopo essere stato fermato dalla Polizia mentre era alla guida della propria autovettura in stato di ebbrezza, ha corrisposto 100 euro al poliziotto per dissuaderlo dall’infliggergli una multa cospicua. Condannato in primo e in secondo grado per il reato di corruzione di cui all’articolo 322 del Codice Penale, l’imputato ha avanzato ricorso, lamentando il fatto che la propria offerta non avesse alcuna potenzialità corruttiva in quanto non seria. Innanzitutto il comportamento dell’automobilista non appariva assolutamente ragionato e consapevole: versava in palese stato di ubriachezza, tanto da aver provocato un incidente e da mostrare palesi difficoltà ad articolare il linguaggio. Per di più, la somma di 100 euro risultava essere troppo modesta per avere un effettivo impatto sulla psiche del poliziotto, non potendosi escludere che l’imputato non volesse in realtà semplicemente pagare la sanzione pecuniaria scaturente dall’illecito riscontrato a suo carico.
La Cassazione, con la sentenza numero 1935 del 2016, ha in effetti riconosciuto che la condotta del ricorrente non era tale da integrare il reato di corruzione. Il motivo è che tale crimine deve necessariamente fondarsi su specifici presupposti, quali un’adeguata serietà ed idoneità a turbare psicologicamente l’ufficiale di Polizia. La Suprema Corte ha dunque accolto le ragioni della parte impugnante, annullando senza rinvio la precedente sentenza di condanna d’appello per insussistenza del fatto. Nello specifico, la Corte ha dichiarato che “la mancanza di serietà dell’offerta e l’inidoneità della condotta a ledere ovvero a porre a repentaglio l’oggetto giuridico dell’articolo 322 del Codice Penale elide la rilevanza penale del fatto”.
La sentenza desta alcune perplessità, a partire dalle non poche difficoltà cui si va incontro per stabilire quando la cifra offerta abbia una misura tale da incidere in maniera effettiva sull’integrità della persona. Sembrerebbe necessaria almeno la predisposizione di alcuni parametri e schemi cui fare riferimento e che evitino decisioni eccessivamente discrezionali da parte dei giudici.