«Inquinamento e pericolosità delle piene vanno affrontati insieme», sostiene l’ex consigliere provinciale. «Bisogna ristabilire il sistema borbonico e mettere davvero in funzione i depuratori di Solofra e Costa»
di Pierluigi Faiella
«È una follia pensare di risolvere il problema delle inondazioni ampliando gli argini della Solofrana. Il modo più semplice per risolvere questo problema è quello di ristabilire un sistema che già i Borboni avevano realizzato». A sostenere l’idea con forza è il professor Francesco Di Pace, presidente del circolo di Legambiente di Castel San Giorgio e già consigliere nazionale della stessa associazione. Per il professore si dovrebbero inoltre mettere in sicurezza gli argini con gli stessi materiali antichi già utilizzati (tufo giallo, tufo grigio di Fiano e pietra calcarea), ma soprattutto non permettere la costruzione di spiazzali in cemento nei pressi del corso d’acqua ed eliminare quelli già esistenti, costruendoli invece con materiale che sia adatto al drenaggio delle acque, ripristinando infine i terrapieni, le cosiddette “reseche”, fondamentali per la tenuta degli argini stessi.
Ciò che per Di Pace è fondamentale è che le due questioni, i due problemi che riguardano questo corso d’acqua, la pericolosità delle sue piene e il suo inquinamento, dovrebbero essere affrontate insieme. «Il sistema delle vasche di laminazione pensato dai Borboni ha un senso soltanto se l’acqua è pulita, altrimenti si andrebbe ancora di più a inquinare le falde acquifere forse già compromesse da sostanze nocive». Il problema dell’inquinamento delle acque della Solofrana è innegabile per il professor di Pace, al contrario di quanto dichiarato dall’ARCADIS, che «prende in giro l’Europa dichiarando che le acque del torrente sono pulite». Secondo Di Pace la causa principale dell’inquinamento della Solofrana sono le concerie sorte a centinaia negli anni ottanta, dopo il terremoto, nell’area di Solofra, «molte delle quali non utilizzano i depuratori a piè di fabbrica o addirittura non ne sono per niente forniti. Tutto ciò viene permesso dalla Regione che non ha intenzione di chiudere le fabbriche». Queste concerie scaricano in pratica i loro rifiuti direttamente nel fiume, evitando quindi il depuratore sito proprio a Solofra, il quale dovrebbe agire in un sistema direttamente collegato all’altro depuratore collocato a Costa di Mercato San Severino. «L’acqua già in parte filtrata dal depuratore di Solofra viaggia fino a quello di Costa in un condotto parallelo al fiume. Qui dovrebbe concludere il suo trattamento di purificazione e liberare l’acqua in tabella A, che deve servire per gli usi agricoli secondo le norme europee». Per il professor Di Pace affrontare contemporaneamente i problemi «può essere possibile soltanto se il Consorzio di bonifica del Sarno torni di nuovo alla sua funzione di controllo del fiume, grazie a competenti operai e ingegneri che si occupino attivamente e con continui sopralluoghi dei diversi tratti della Solofrana. Si dovrebbe quindi riunire questo consorzio con l’Ente Parco Regionale del Fiume Sarno, e gli operai dovrebbero essere aumentati. Così il consorzio di bonifica potrebbe assolvere al suo ruolo di braccio armato della manutenzione, per monitorare continuamente il corso d’acqua e tentare di risolvere il problema del dissesto idrogeologico».