Intervista all’attore Antonio Grimaldi, che ha appena messo in scena con successo il suo “Notte Pasolini atto III”, per ricordare il grande intellettuale friulano nel quarantennale della sua morte

di Pierangelo Consoli

Si intitolava “Notte Pasolini atto III” la serata tenutasi presso il cinema Apollo di Salerno lunedì sera. L’evento si è strutturato attraverso un piccolo reading, una performance ad opera dell’attore Antonio Grimaldi e la proiezione del film capolavoro di Pasolini, in edizione restaurata, “Salò, o le 120 giornate di Sodoma.”
Forse non sapremo mai chi, o cosa, ha un ucciso Pier Paolo Pasolini. Se sia stato lo Stato, o soltanto un manipolo di balordi che lo Stato aveva e ha comunque interesse a coprire.

Non sapremo mai i motivi, soprattutto. Sappiamo però che le lotte di Pasolini sono ancora tutte lì, “da lottare”. L’imbarbarimento culturale, la massificazione, il provincialismo, l’inuguaglianza sociale, l’omofobia.
Di questo e di molto altro si è parlato a “Notte Pasolini atto III”. Ne abbiamo riparlato a freddo con Antonio Grimaldi, deus ex machina della compagnia teatrale “Grimaldello” che a Pasolini dedica molte delle sue fatiche.
– Antonio Grimaldi, si può dire che lei sia un attore dalla forte matrice pasoliniana?
«Si, assolutamente. Considero Pasolini un maestro e soprattutto un punto di riferimento cui attingere, sempre. Pasolini era un uomo in grado di rendere tutto semplice, diretto, naturale. Anche le cose più difficili. Per certi versi assomiglia a Cristo».
– Perché è importante ricordarlo?
«Pasolini fu un grande anticipatore, io lo definisco uno “Stregone veggente.” Egli ha previsto drammi sociali come l’emigrazione di massa dall’Africa all’Europa, la crisi della famiglia borghese, il suo nichilismo. Penso ad opere come Teorema, lo snodo ipocrita che si sviluppa tra moglie e marito e la confusione dei figli».
– Contro chi, Pasolini, combatterebbe oggi?
«Le stesse cose contro cui si scontrava allora. Io penso che Pasolini sia vissuto nel suo tempo giusto, nel senso che è stato in grado di comprendere e farsi carico delle difficoltà di quegli anni pieni di contraddizioni e oggi non sarebbe diverso. Oggi Pasolini, in questi tempi di esagerazione, sarebbe ancora contro, e parlerebbe di concretezza, di recupero dei valori, di ritualità».
– Un’ultima domanda che non posso esimermi dal farle: chi ha ucciso Pasolini?
«La povertà, e la pochezza».
– Non crede alle tesi complottistiche?
«No. Penso che la causa sia più viscerale: l’ignoranza ha ucciso Pasolini. Un’ignoranza che non è nozionistica, ma umana, assai più cattiva e radicale, difficilissima da sradicare».

Di Gigi Di Mauro

Giornalista con esperienza quasi quarantennale, è educatore e pedagogista clinico. Da oltre un ventennio si dedica allo studio della storia comparata delle religioni, ottenendo nel 2014 dal Senato accademico dell'MLDC Institute di Miami una laurea Honoris Causa in studi biblici. È autore di alcuni saggi, tra i quali uno sulle bugie di storia e religione

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