Non è un gioco: sono state usati tempi realistici, compresa la pausa pranzo. E’ stato ripreso tutto, anche le conversazioni di servizio, i commenti, i dubbi, la stanchezza. La squadra documentaristi si è limitata però ad osservare e registrare senza intervenire o intervistare

Pierangelo Consoli

E’ la prima volta che succede. Uno studio sociologico in stile milgramiano, si chiama “Unità di produzione musicale”, è un progetto di Enrico Gabrielli e Sergio Giusti sviluppato assieme a Enece Video (Pietro De Tilla, Elvio Manuzzi, Tommaso Perfetti) e Pietro Leone.
Si tratta di un’opera a metà tra un film documentario e una performance. Una simulazione di 8 ore di lavoro in fabbrica dove, anziché stare al tornio o produrre bulloni, si scrive e si suona musica su turni da catena di montaggio.

Per questo sono stati assunti in qualità di musicisti-operai sessanta persone che hanno suonato in uno spazio industriale, coordinati da un capo reparto. Indossate le tute da lavoro, la metà è stata messa a produrre spartiti su trenta tavoli, e l’altra metà ad aspettare davanti a trenta leggii. Finito il momento della scrittura, chi aspettava, ha dovuto eseguire ciò che è stato scritto in una sorta di interplay estemporaneo di massa.
I tempi sono stati rigidamente stabiliti e una volta finito il turno, le due squadre si sono invertite: la squadra compositori è diventata la squadra esecutori. E così in alternanza fino alla fine della giornata. Non è un gioco: sono state decise pause e tempi realistici, compresa la pausa pranzo. E’ stato ripreso tutto, anche le conversazioni di servizio, i commenti, i dubbi, la stanchezza. La squadra documentaristi si è limitata però ad osservare e registrare senza intervenire o intervistare.
I musicisti non erano lì per esibirsi, ma per lavorare: tutta l’operazione si è svolta, perciò, a porte chiuse.
Innescando questa operazione ibrida fra esperimento psicologico, performance e improvvisazione, si è inteso esaminare un fenomeno sociologico per fornire un documento aperto. Nessuna tesi, quindi: ognuno deve trarre le conclusioni che ritiene valide su cosa significhi lavorare con la musica e con l’arte. Sono stati coinvolti quelli che oggi possiamo considerare i migliori musicisti italiani: i Ministri, Giulio Favero, Dente, Eugenio Finardi, gli Zen Circus, Vasco Brondi, Rodrigo d’Erasmo, Roberta Sammarelli dei Verdena, la Tempesta tutta, Giorgio Canali, i Baustelle, Manuel Agnelli, Iosonouncane, la Fuzz Orchestra, Davide Toffolo, Julie’s Haircut, Nicolò Fabi e moltissimi altri. Questi sono stati mescolati sia a musicisti meno noti, sia a chi di musica è completamente digiuno. Questo perché in una fabbrica, dove la produzione è serializzata, non si presuppone che un operaio semplice debba avere specifiche competenze. E l’ego è livellato su una norma comune.

Di Gigi Di Mauro

Giornalista con esperienza quasi quarantennale, è educatore e pedagogista clinico. Da oltre un ventennio si dedica allo studio della storia comparata delle religioni, ottenendo nel 2014 dal Senato accademico dell'MLDC Institute di Miami una laurea Honoris Causa in studi biblici. È autore di alcuni saggi, tra i quali uno sulle bugie di storia e religione

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