La nostra scrittrice ci offre un racconto che, nel 2009, è risultato fra i cinque finalisti al concorso “Parole in corsa”, promosso dalla CSTP. Narra situazioni ed emozioni che solo i più grandi possono ricordare
di Carla D’Alessandro
Ore 17,00: sono alla fermata del cinema-teatro Diana a Nocera lnferiore, aspetto con ansia il quattro che mi porterà a Salerno, dove alle Poste mi aspetta Carlo, un ragazzo che ho conosciuto a casa di comuni parenti. E’ una sera fredda di Gennaio, le feste di Natale sono da poco trascorse ma le luminarie sono ancora accese nelle strade. Il vecchio quattro quello grosso con le aste elettriche arriva ed io lo prendo.
Siedo nella vettura non troppo affollata, le luci del filobus sono fioche e conciliano i miei pensieri, i miei interrogativi e le mie speranze Arrivo alle Poste di Salerno alle ore 18,00 in perfetto orario con l’appuntamento! All’inizio non vedo Carlo poi scorgo la sua statura non troppo alta, abbottonato in quel suo giaccone color cammello. Mi viene incontro sorridendomi con aria sorniona e con fare familiare mi dà il braccio come se ci conoscessimo da sempre. Anch’io ebbi la stessa impressione e mi lasciai condurre per le strade conosciute di Salerno, alla luce delle luminarie natalizie ancora accese nel freddo pungente di metà gennaio. I discorsi si accavallavano, i sogni prendevano corpo come realtà da vivere, l’avvenire pareva radioso e tenero alla luce fioca delle speranze. Camminammo infreddoliti ma con quel tenero tenersi per il braccio sempre stretto. Che cosa dicessimo non ricordo dentro però mi sono rimaste le sensazioni di tenerezza, di dolcezza e di calma che mi regalò quell’incontro. Una sosta al bar Natella per prendere un qualcosa di caldo e riprendere il quattro alle 19,30 per ritornare a Nocera. Carlo mi accompagna: il viaggio fu un parlottare fitto, fitto e giungemmo senza accorgercene. Il viaggio mi sembrò lieve e veloce non come quello dell’andata. Andammo alla fermata ad aspettare l’autobus per Salerno. Altri sguardi, altri suoni e altre speranze raccontate con gli sguardi desiderosi d’amore. La filovia arriva, Carlo mi bacia sulla guancia e sale sul quattro che riprende la sua corsa, riportandolo a casa. Io rimango ancora a guardare allontanarsi quel mezzo e poi vado via. Da quel giorno passarono cinque anni di amore e di litigi, di guerra e di pace, di corse e di abbandoni, di lacrime e risate vissute tra un quattro in arrivo e uno in partenza. Dopo cinque anni ci siamo sposati e da allora sono trascorsi ventiquattro anni e nostro figlio è il dono più bello che abbiamo ricevuto da Dio. Qualche volta ancora ci ricapita di prendere il quattro: un autobus diverso d’allora con l’aria condizionata e i sedili moderni. Non c’è più il bigliettaio a farti il biglietto. I vari bigliettai ci conoscevano e bonariamente ci sorridevano anche perché i pendolari diventavano amici del bigliettaio. Ora c’è una fredda macchinetta mangia biglietti, che non ti conosce e non sa se viaggi per lavoro o per amore. Anche i passeggeri sono cambiati: c’erano solo italiani sull’autobus ora c’è una multi etnicità, un fiorir di linguaggi sconosciuti e tu ti senti più straniero di loro. Carlo ed io siamo invecchiati, non siamo più ragazzi pieni di speranze. Siamo diventati una coppia di mezza età che vuol vivere il domani. Carlo non mi cinge più le spalle come a proteggermi ma lungo il viaggio Salerno Nocera si addormenta mentre io sono attenta a non superar la fermata. Scendiamo dall’autobus in questa piovosa serata di giugno, ancora mi dà il braccio e come sempre lo conduco a casa mentre il quattro prosegue la sua quotidiana corsa.