Un successo strepitoso sta premiando “Storia e geopolitica della crisi ucraina – Dalla Rus’ di Kiev a oggi”, il libro dell’esperto di politica internazionale dell’Europa Centro Orientale
Si intitola “Storia e geopolitica della crisi ucraina – Dalla Rus’ di Kiev a oggi“, è edito da Carocci editore, ed è attualmente alla sua terza ristampa. A scriverlo il professor Giorgio Cella, esperto di politica internazionale. Ha all’attivo decine di articoli, saggi e pubblicazioni scientifiche di politica internazionale in veste di analista geopolitico, ed è stato osservatore elettorale per l’OSCE nelle elezioni in Ucraina del 2019.
– Professor Cella, se lei è d’accordo partirei dal sottotitolo del suo libro, “Dalla Rus’ di Kiev a oggi”. Quando ho cercato notizie in merito mi sono affacciato su un mondo che – credo al pari di una stragrande parte di italiani – non conoscevo. Parliamo di quella monarchia slava che ha visto, a partire dalla fine del IX secolo, Kiev essere capitale di quella che possiamo chiamare l’antenata della Russia. Ce ne vuol parlare lei?
«Questa Rus’ di Kiev che campeggia anche nel sottotitolo del libro, era uno stato “multinazionale”, dove non c’era una definita nazionalità, ed era il regno, poi divenuto impero quando si è espanso, degli slavi orientali. Il che implica che ci fossero anche slavi occidentali e slavi meridionali. L’impero, con Kiev capitale, nacque dall’arrivo iniziale di un gruppo di scandinavi che si fusero molto velocemente con le popolazioni locali, al punto di subire una completa slavizzazione, tant’è che i nomi dei monarchi della Rus’ di Kiev sono tutti slavi. Di questo impero possiamo dire che fino alla fine del X secolo era un impero ancora pagano; poi Vladimir I detto “il Santo” – che per metà della sua vita fu anch’egli pagano – nel 988 decise per la conversione al Cristianesimo bizantino di tutta la Rus’ di Kiev. Inoltre, voglio evidenziare una curiosa coincidenza che aggancia “il Santo” all’attualità: oggi tutti e due i contendenti in guerra si chiamano Vladimir, sia Zelensky che Putin. La conversione operata da Vladimir I fu un fatto importantissimo non solo per l’area orientale euroasiatica ma anche per tutta l’Europa, perché fu un inserimento volontario di questo nuovo regno all’interno del mondo eurocristiano».
– La guerra in corso vede anche una contesa tra le Chiese russa ed ucraina. Eppure le chiese dovrebbero, per loro natura e per lo spirito cristiano che vive in entrambe le confessioni, svolgere un ruolo pacificatore. Perché, secondo lei, sono invece diventate parti attive nel conflitto?
«Purtroppo, come avvenne anche nei Balcani, la religione è stata risucchiata dall’odio interetnico o intranazionale. La Russia ha sempre avuto, soprattutto da Pietro I in poi, con la creazione del Sacro Sinodo, una sorta di cesaropapismo in cui la Chiesa ortodossa divenne, per certi versi, oltre che struttura spirituale, uno strumento che coadiuvava l’espansione e la diffusione della politica estera russa. Dall’altra parte ricordiamo che gli ucraini, nel 2019, con Porošenko, si resero autocefali distaccandosi dal patriarcato di Mosca. Naturalmente questo vale per gli ortodossi. Ma non dimentichiamo che in Ucraina esiste anche l’anima greco-cattolica. Se inseriamo questi dati nel contesto bellico diventa ben comprensubile come, invece di essere entità pacificatrici, le Chiese russa ed ucraina siano diventate così accanite belligeranti».
– Quanto il suo lavoro può contribuire alla comprensione di quanto sta accadendo nella periferia centro-orientale d’Europa, dove gli eventi che si sono succeduti, come lei stesso evidenzia, sono stati gravemente trascurati nel corso della storia del Vecchio Continente?
«Uno dei messaggi di fondo del libro è quello di aiutare a diffondere l’attenzione verso queste tralasciate e marginalizzate terre di mezzo centro-orientali europee. Un errore devastante nel calcolo non strategico, specie europeo, costato già tantissimo all’Europa nei secoli. Potrei andare a prendere esempi fin dal Medioevo, ma ci basterà pensare a dove sono esplose le due guerre mondiali: tutte e due in ambito centro-orientale europeo. Ed ora stiamo assistendo a quest’ultimo campanello di allarme sanguinario della guerra in Ucraina. Io mi auspico e spero che questo libro vada non solo ai lettori, agli accademici, agli specialisti, a chi voglia avere una visione più chiara di questo mondo, ma anche ai Policy makers, che sono quelli che dovranno implementare determinate politiche in queste aree».
– Kiev, come centro della Rus’, perse importanza dopo meno di tre secoli, intorno alla metà del 1100. Poi quale fu lo sviluppo storico-politico di quelle che oggi sono Ucraina, Russia occidentale, Bielorussia, Moldavia, Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia?
«Nel libro c’è un capitolo dedicato all’etnogenesi degli Stati degli slavi orientali. Dalla Rus’ di Kiev si sono sviuppate, lentamente nei secoli, delle nazionalità ucraine e bielorusse, che sono poi emerse con i movimenti nazionalisti del 1800. Ma è chiaro che lo Stato che ha più impattato sugli scenari internazionali è stato l’impero russo».
– A suo parere questo conflitto, che abbiamo visto non avere origini nei fatti del 2014 ma ben più remote, come potrebbe risolversi?
«La questione è ancora lontana dall’essere risolta. La battaglia va ancora avanti nel Donbass con atti di violenza estrema. Siamo ancora in una forte fase di conflitto. Certo, ci sono degli scenari possibili: quello peggiore, che per fortuna sembra essere stato messo da parte ed ha avuto un ruolo simbolico psicologico è lo scontro atomico; poi abbiamo quello di una guerra prolungata; un altro ancora è quello di un conflitto che fuoriesce dal perimetro ucraino, che reca con se delle conseguenze gravissime per il possibile coinvolgimento, ad esempio dell’Alleanza atlantica. E poi c’è uno scenario più roseo, migliore, che è quello della ricomposizione di questo conflitto. Io già nel 2015, nello scrivere la mia tesi di dottorato poi divenuta questo libro, misi in evidenza la carenza della mancanza gravissima di una conferenza finale al termine della Guerra fredda. Io credo che per risolvere il conflitto, sia pure con grandi difficoltà, questo nuovo “Congresso di Vienna” sia fondamentale. Le difficoltà della conferenza verranno, a livello macro, per il ristabilire equilibri di potenza tra l’Europa centro-orientale e Eurasia, ed è quello che vogliono i russi, che proprio per tutelare questi equilibri hanno dato il via alla guerra in Ucraina. Poi bisognerà sistemare tutto il livello micro: gli assetti politico-istituzionali, le zone contese nel Donbass ed altro. Immagini quindi che complessità avranno questi trattati di pace se mai arriveranno».
– Vorrei chiudere con la domanda che sicuramente le farebbe un cittadino qualsiasi sentendola parlare: Ai tempi della Guerra fredda, a parte il gioco di spionaggio e controspionaggio tra URSS e USA (e alleati), tutto era tranquillo. Non era meglio rispetto a tutti conflitti e i nazionalismi venuti fuori dopo la caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’impero sovietico?
«Certamente ai tempi della Guerra fredda c’erano dei limiti che non potevano essere valicati, c’erano delle regole più chiare. Oggi invece la situazione si è via via caratterizzata per una conflittualità più fluida e ripida. Per certi versi quindi concordo con lei: la Guera fredda dava delle sicurezze in più. Allo stesso tempo, però, oggi siamo in un mondo che non è più diviso in blocchi, con tutto quello che di buono è uscito da questa situazione. Le conflittualità successive al crollo dell’Unione sovietica, però, lo ripeto, sono dovute alla mancata organizzazione di una conferenza tra gli Stati che dettasse regole certe».{loadmoduleid 289}{loadmoduleid 288}