Il ruolo della donna come ostetrica e guaritrice: tra erboristeria, magia pagana, superstizione e tradizione popolare, tramandata fino a noi nei mantra curativi delle nonne
di Valentina Milite
Le donne medico? Malgrado la medicina abbia una storia antica, sono davvero poche le donne che si ricordano nel settore.
Certo, vi sono delle eccezioni, come ad esempio quella della medica Trotula de Ruggiero (Salerno, 1050-1097), conosciuta già allora in tutta Europa. Ma normalmente il ruolo della donna in medicina era relegato all’assistenza al parto e a contesti guaritivi non ufficiali.
Il parto ad esempio era argomento tabù per gli uomini e non era trattato come uno stato clinico degno di essere seguito da un medico, ma come un obbligo imprescindibile della moglie, insito nella sua natura muliebre. Le donne partorivano in casa e la mortalità delle partorienti per complicanze dovute al parto, si attestava a circa una gestante su tre. La sola assistenza era quella delle altre donne di casa e delle ostetriche formatesi con l’esperienza. Molto, ma molto più intrigante la figura della strega di campagna, detta in Campania janara…
Tutto nasce dal fatto che le fasce di popolazione più povere, soprattutto contadini e braccianti, non avevano modo di accedere alla medicina dotta ed il principale riferimento per curare i mali era il medico di campagna, o più spesso la strega di campagna. Le streghe di campagna erano donne inizialmente con un riconosciuto ruolo sociale, ma più tardi (con l’accrescere del potere del clero), furono viste sempre con maggior sospetto ed emarginate. Erano esperte in metodi curativi pagani, nell’uso dell’erboristeria e custodi di rimedi tradizionali popolari tramandati con riserbo dalle anziane alle giovani, talvolta solo in punto di morte. Alla somministrazione di pozioni, unguenti curativi e rimedi, accompagnavano riti magici ed invocazioni alle forze della natura, perché intercedessero nel processo di guarigione. Un mistero ed un misticismo che risulterà presto non più tollerabile dalla Chiesa, che non comprendendo come, senza studi ufficiali queste donne di campagna potessero con l’uso di piante e rituali sconosciuti, curare e guarire gli infermi, le accusò di legami col demonio, dando inizio alla tristemente nota “caccia alle streghe”.
Nella tradizione folkloristica campana le streghe di campagna venivano chiamate “janare”, termine ancora usato nel linguaggio popolare. C’erano janare buone che curavano con rimedi erboristici e janare oscure, capaci di fare malefici e recare infertilità e malattie. Nel beneventano la leggenda delle streghe o janare si fuse con il culto (importato nella penisola dall’imperatore Domiziano) della dea egizia Iside, divinità femminile collegata ai temi della magia e dell’oltretomba, protettrice dei naviganti e secondo alcuni, prima strega di Benevento.
Inoltre, riferimenti alla figura della donna guaritrice si trovano tutt’oggi nella nostra cultura popolare contadina. Alcune nonne sono ancora oggi custodi di rimedi taumaturgici come ad esempio quello di alleviare il mal di testa con la pratica di “fare gli occhi”. Un rituale cui si accompagna sottovoce la declamazione di una prece per allontanare le male lingue e le invidie, la cui conoscenza può essere tramandata ad un’altra più giovane donna della famiglia solo in punto di morte o quando questa abbia avuto un figlio; di modo da poterlo a sua volta proteggere dall’invidia ed il pettegolezzo.