Erano trascorsi meno di 40 giorni dal sisma e il deposito dei soccorsi era pieno di alimentari, tende, vestiti. Un consigliere comunale, un maresciallo dei carabinieri, alcuni dipendenti comunali riempirono le loro auto nel silenzio e nel buio della notte
di Gigi Di Mauro
Avevo poco più di 21 anni la sera del 23 novembre 1980. Al momento del sisma ero a Salerno, di fronte all’ormai ex palazzo delle Poste, in via Garibaldi, aspettando il filobus.
Tornavo da Battipaglia, sempre con mezzi pubblici: una delle tante avventure che a un giovane non mancano mai. All’improvviso la terra mi cominciò a tremare sotto i piedi. Il mezzo uovo (li ricordate, i lampioni sospesi a centro strada?) che illuminava il tratto in cui ero cominciò a vorticare per effetto del dondolio dei palazzi ai quali era fissato. Io facevo fatica a restare in piedi, mentre le auto che mi transitavano davanti sbandavano. Non capivo cosa potesse essere, all’inizio. Terremoto era una parola quasi sconsciuta per me…
Mi sempbrò lunghissimo: restai lì incapace di decidere che fare, mentre la gente urlando mi passava davanti. Poi un colpo di fortuna: vedo arrivare la vecchia Austin A40 grigio chiaro di Francolino Contursi, il mio amato cugino che quella sera fece la parte del mio salvatore. E con lui tornai a casa. Abitavo allora a Nocera Superiore, a San Clemente, sul ponte, nel palazzo Bove (quello dove sotto c’era l’Ufficio Postale). Vederlo sventrato fino al terzo piano fu uno shock, e ancor di più fu l’ingresso a casa mia, al sesto piano, dove mi ero avventurato con l’incoscienza di un ragazzo: tutto aperto, tutto a terra, tutto rotto. L’ondeggiare del piano alto non aveva avuto rispetto di nulla. Ridiscesi, e abbracciato qualche condomino più spaventato di me cominciai a sentire notizie: a San Pietro è crollato un fabbricato, a Nocera Inferiore il palazzo Tagliamonte. Ci sono dei morti. Corsi, a piedi, A San Pietro, dove c’era anche la casa di mia nonna. Quella era indenne, ma a crollare era stato il fabbricato dove abitava l’amico Gerardo Bartiromo, che perse entrambi i genitori quella notte, e che era intontito appoggiato sul muro di fronte aspettando che ritrovassero, lui sperava vivi, i suoi. E in quel fabbricato c’era anche l’officina di Raffaele Basile, mastu Rafaele ‘o sfriggiato, noto preparatore di auto per corse in salita. Ma non era rimasto nulla. Qualche notte dopo (ero da pochi mesi in servizio al Comune di Nocera Superiore) mi vennero a chiamare: «Sei stato precettato per il Centro soccorsi comunale», mi disse il collega Pasquale Pagano. E da quel momento per due mesi, senza soluzione di continuità, fu un lavoro immane, tra bottiglie d’acqua vendute a 2.000 lire l’una (i soliti sciacalli) e botte prese dai senzatetto mentre dal Centro (ospitato nella fabbrica della signora Maria Gambardella, la Petti Spa) portavo al Comune i buoni per l’assistenza gratuita. Disperati ma anche, come sempre, lestofanti che cercano di approfittare della situazione. Furono 34 i morti a Nocera Inferiore, 17 a Nocera Superiore. Persone la cui memoria è stata infangata da un episodio occorso una notte a Nocera Superiore: tutti i soccorsi alimentari e non erano accumulati nella palestra della scuola elementare “Settembrini”, a San Clemente. Una notte un consigliere comunale, un maresciallo dei carabinieri e alcuni dipendenti fecero, nel silenzio e nel buio della notte, razzia nel magazzino. Ne vidi i volti, ma dovetti zittire sotto minaccia. Ancora ne sono turbato.