Lo scrivono i primi tre frati che vissero con il poverello di Assisi. Gli studi di cultori del dialetto eugubino svelano anche la verità sulla predicazione agli uccelli e sul lupo
Oggi ci allontaniamo per un giorno dalla Bibbia per parlare di un santo molto caro agli italiani: San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia. Per la tradizione cattolica un uomo semplice, ingenuo e senza cultura, che aveva rinunciato ad ogni bene, che diede vita a una comunità di frati altrettanto umili, che predicava agli uccelli sugli alberi e ammansiva le bestie feroci come nel caso del lupo di Gubbio. Ma sarà così? Ne ho parlato in modo molto approfondito nel libro “Storia e religione senza veli: le grandi bugie”, uscito nel 2021 e ancora disponibile su Amazon. E dunque, necessariamente in breve, vediamo qual è la verità.
A partire dal X° secolo nella Chiesa presero il sopravvento fenomeni di corruzione, simonìa (attraverso la vendita di oggetti sacri, reliquie, cariche, sacramenti), prevalenza della cura del potere rispetto alla spiritualità, l’abbandono del celibato da parte dei sacerdoti, la crisi dello scisma di Oriente, il catarismo ed altri elementi che stavano mettendo a rischio l’esistenza stessa dell’Istituzione ecclesiastica.
La Chiesa puntò allora gli occhi su Francesco, morto nel 1226 e proclamato santo da papa Gregorio IX nel 1228, e sulla sua opera. Essa valutò che il carisma di quest’uomo, capace di aggregare migliaia di persone intorno a sé con la sua semplicità, inducendole ad abbracciare le sue regole di vita, ne facevano il soggetto ideale per trasformarlo in un simbolo intorno al quale ricostruire l’immagine “santa” della Chiesa. Per questo nel 1260 fu affidato a Bonaventura di Bagnoregio, in quel momento superiore generale dei francescani, l’incarico di redigere una nuova biografia molto più agiografica e adatta al fine da raggiungere, e nel 1266 furono distrutte le biografie precedenti. Per fortuna l’ordine di distruzione non fu eseguito fedelmente e, a partire dal ‘700, sono ricomparse opere che portarono poi il pastore calvinista Charles Paul Marie Sabatier a pubblicare nel 1893 una “Vie de saint François d’Assise”, che ebbe un successo strepitoso e fu tradotta in diverse lingue. In sintesi ecco cosa emerge: Francesco non fu mai ordinato sacerdote e quindi la sua predicazione è stata fatta sempre da laico (cosa che la Chiesa del tempo non poteva accettare, tanto che non si trova in giro altra immagine del frate se non quella di predicatore a lupi e uccelli). Francesco era molto meno contemplativo e decisamente più colto e umano. Dormiva su giacigli di paglia e non sulla roccia e non impose mai privazioni ai confratelli. Le sue regole originarie prevedevano l’obbligo del lavoro fisico, il divieto di accettare retribuzione in danaro, il rifiuto degli studi, il divieto di possedere alcun bene, la precarietà dei primi conventi che dovevano essere realizzati in legno e non in pietra. Francesco non indossava cilici né immergeva il suo corpo in acqua gelida per calmare pensieri “decisamente umani”.
Però proprio queste regole furono la rovina di San Francesco: molti francescani non erano d’accordo prima di tutto sul divieto di studiare perché ciò impediva loro la carriera ecclesiastica. Ne nacque una netta divisione tra quelli che si definivano frati minori, che rigidamente osservavano la regola di Francesco, e i conventuali, che invece spingevano per cambiamenti. Una situazione che vide Francesco letteralmente defenestrato dalla creatura da lui generata nel 1221, a soli 13 anni dalla sua nascita.
Due grandi curiosità riguardanti San Francesco non possiamo non darle: quella sulle stìmmate e sulle sue predicazioni agli uccelli.
La “Leggenda dei tre compagni”, scritta dai tre compagni più stretti del Santo: Leone, Rufino e Angelo Tancredi, racconta in modo molto diverso il soggiorno alla Verna, durante il quale Francesco avrebbe ricevuto le stìmmate. Siamo nell’anno 1224. Francesco si ritira sulla Verna, accompagnato da frate Leone, per riflettere sul perché i “frati dotti” l’avessero tanto contrastato. Ebbene, il racconto semplicemente riferisce che in sogno a Francesco apparve un angelo che lo consolò delle sue amarezze e gli donò una grande serenità. Le stìmmate non ci sono!
Veniamo agli uccelli e al lupo di Gubbio: Gian Marco Bragadin, e prima di lui Giovanni Todaro, ci parlano di alcuni termini del dialetto eugubino. Secondo i due, giacché in quel periodo si servivano di animali per descrivere pregi e qualità delle persone, il lupo di Gubbio ammansito da Francesco è un’immagine metaforica. Infatti in eugubino “lupo” indica una persona malvagia, e quindi potrebbe in realtà indicare un brigante che tiranneggiava gli abitanti di Gubbio, i quali si rivolsero al frate di Assisi al suo passaggio in città per essere aiutati nel liberarsene. Parimenti con il termine “uccelli” veniva identificato il popolo, la gente comune e semplice. Quindi l’immagine di predicare agli uccelli sarebbe ben diversa da quella che ci è stata trasmessa!