Basta davvero semplicemente leggere la Bibbia cattolica, ovvero antico e nuovo Testamento, per scoprire come spesso la teologia abbia più volte manipolato il testo originale per sostenere le sue tesi
Siamo ormai nel periodo di una tra le più importanti festività dei cristiani: la Pasqua, che celebra la resurrezione di Gesù dopo la morte in croce.
Oggi ci occuperemo, come avevamo anticipato, della crocifissione e della presunta resurrezione di Gesù, ma anche di un problema che deriva da quanto abbiamo trattato nell’articolo “Gesù Cristo era il figlio di Dio? Sembra proprio che non sia affatto così!” e da quello che aveva per titolo “Com’è nata la favola del “peccato originale”? Scopriamolo insieme!“.
Ma partiamo da una curiosità importante sconosciuta quasi a tutti. Ci riferiamo, per comprenderci subito, a quando, prima di mandare Gesù sulla croce, per rispettare quella che i vangeli definiscono consuetudine ma di cui non c’è traccia storica, Pilato chiede se il popolo volesse libero Gesù o Barabba. Siamo in Matteo capitolo 27 verso 17: “Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: «Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?»“.
Il problema è che, nella versione originale greca, consultabile da chiunque, Pilato chiede: «Chi volete libero, Gesù Barabba o Gesù chiamato il Cristo?». Ne abbiamo parlato diffusamente e dettagliatamente nell’articolo “Nel Vangelo di Matteo si parla di due Gesù: parola di papa Benedetto XVI!“, cui rimando i lettori che vogliono approfondire. Ricordo solo brevemente che il Gesù (o meglio Giosuè) crocifisso era un rabbino ebreo messianista antiromano capo di una comunità che voleva liberare (altri prima di lui ci avevano provato senza successo) il popolo dalla dominazione romana e assumere il ruolo di re della Giudea. L’altro, Gesù Barabba, era un mite religioso: Bar Abba infatti significa “figlio del Padre“. Le storie dei due Gesù, molto probabilmente, sono state fuse insieme da San Paolo, vero creatore del Cristianesimo, e dai suoi seguaci per costruire la figura del Messia religioso da diffondere nel mondo romano innanzitutto, prendendo a prestito anche qualità attribuite ad altri personaggi. Ma di questo parleremo nelle prossime settimane.
Detto questo, accompagniamo Gesù sul Monte del Cranio (il Golgota), per arrivare a Luca capitolo 23 verso 32. Voi lo leggete nelle Bibbie di casa così: “Venivano condotti insieme con lui anche due malfattori per essere giustiziati“, o al massimo così: “Venivano condotti insieme con lui altri due, che erano malfattori, per essere giustiziati“.
Bene, se io avessi tradotto al liceo la frase greca originale come l’ha tradotta la Cei sarei stato solennemente rimproverato e avrei rischiato di essere rimandato in greco.
L’originale, infatti, recita: Ora {de} altri {eteroi} due {duo} criminali {kakourgoi} erano condotti {egonto} per essere messi a morte {anaireteai} insieme {sun} a lui {autos}.
Quindi non “anche” due malfattori, ma “altri” due malfattori!
La Chiesa cattolica, quando ha tradotto in lingua italiana questo versetto, nel maldestro tentativo di nascondere che anche nei vangeli Gesù veniva considerato un criminale in quanto ribelle antiromano, ha commesso un errore da sottolineare in blu almeno tre volte!
Veniamo ora alla resurrezione. Ne abbiamo parlato in “La finta morte in croce di Gesù Cristo: oggi vi sveliamo il segreto“.
Partiamo dai tre giorni trascorsi tra morte e resurrezione: dalle 18 del venerdì pomeriggio all’alba della domenica mattina in realtà non sono passate più di 36 ore e non certo tre giorni, e stando al Vangelo di Pietro nella stessa notte della sepoltura un Gesù malconcio e non in grado di camminare è stato prelevato dalla tomba e – sorretto a braccia – portato altrove.
Ma allora è morto o no?
Proviamo a spiegare l’apparente mistero: come sappiamo, dopo tre ore di crocifissione un soldato porge a Gesù una spugna imbevuta di aceto e lui che fa? Invece di riprendersi muore. C’è qualcosa che non va: la crocifissione veniva scelta dai romani come pena esemplare proprio perché particolarmente crudele: alcuni condannati sopravvivevano anche 24-36 ore, tanto che gli si spezzavano ad un certo punto le gambe perché, senza sostegno, soffocassero in pochi istanti.
Appare dunque quantomeno sospetto che Gesù sia morto dopo sole tre ore. E allora, visto che anche l’Università di Pavia conferma l’esistenza della “spongia somnifera” e la descrive come “una preparazione ben nota nella Roma antica. Essa era costituita da una normale spugna marina (spugna naturale) e dall’estratto fresco di alcune piante medicinali, tra cui il Solanum nigrum, lo Hyoscyamus niger, la Cicuta minor, la Datura stramonium, la Lactuca virosa e la Mandragora Officinarum, insieme ad alcune gocce di oppio“, abbiamo ripreso un’ ipotesi di diversi studiosi. La spugna sonnifera, come dice il nome, provocava una sorta di catalessi profonda facilmente scambiabile come morte. E sarebbe stata usata con il ribelle antiromano Gesù perché apparentemente morisse prima dell’inizio, all’ora dodicesima del venerdì (le nostre 18), dello shabat. Cosa è lo shabat? È il giorno di sabato, in cui non era consentita agli ebrei – secondo la legge di Mosè ricevuta direttamente da “Dio” – nessuna attività. In pratica ciò, ma molto più severo nei divieti, che fino a 40/50 anni fa era per i cristiani la domenica. Se quindi non fosse stato tirato giù prima delle 18, essendo in arrivo la Pasqua durante la quale non potevano esserci condannati appesi ad una croce, gli sarebbero state spezzate le gambe e sarebbe morto sul serio.
Riepilogando, Gesù, ribelle antiromano, “muore” dopo tre ore dalla crocifissione e dai suoi seguaci ne viene reclamato subito il corpo per poterlo sistemare nella tomba prima dell’inizio dello shabat.
Nella notte viene prelevato e portato altrove per curarlo.
Aggiungiamo al nostro racconto che il Corano, che ha un immenso rispetto per Gesù, di lui scrive: «egli non è né Dio né il figlio di Dio, non è morto in croce e quindi non è resuscitato, ma è stato per la sua rettitudine trasportato in Paradiso in corpo e in anima».
Infine, avevamo promesso di tornare sul motivo della venuta di Gesù: la redenzione dell’umanità dalle colpe del peccato originale. Ma sia la Bibbia di Gerusalemme (testo Cei commentato dalla scuola biblica dei frati domenicani di Gerusalemme) che cattolici di peso come don Ermis Segatti, docente di Teologia e Storia del Cristianesimo presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, affermano che Adamo ed Eva non sono stati allontanati dall’Eden per “aver mangiato un frutto proibito“. «Staccherei – ha affermato il religioso durante un convegno – il concetto di peccato originale da un concetto clanico di peccato, cioè i genitori han peccato e i figli se lo tiran dietro. Una roba di questo genere secondo me nel Nuovo Testamento è ampiamente sconfessata. Anche se, purtroppo, è stata ampiamente usata in teologia».
Un sacerdote Valdese, don Daniele Garrone, durante lo stesso convegno ha dichiarato: «Tra la Genesi 3 e Romani 5:12, dove l’apostolo Paolo dice che per mezzo di un uomo la morte è entrata nel mondo, evidentemente non c’è coincidenza. E anzi, uno leggendo Paolo si può chiedere dove trova quell’idea, cioè di un atto di decadenza, di un fallimento iniziale dell’umanità, che poi l’avrebbe sempre caratterizzata? Una delle cose che mi ha sempre più colpito è l’atteggiamento di Dio che alla fine non sembra drammaticissimo. Cioè, dice: “Va bene, sono diventati come uno di noi, se stanno ancora nel giardino possono prendere l’albero che li rende oltretutto immortali, mandiamoli via…”».
Quindi, se il peccato originale in realtà non esiste, non ha senso e non esiste nemmeno la missione di Gesù!
Buona Pasqua!