Il libro sacro di ebrei e cristiani ha subito negli anni trasformazioni inimmaginabili a un non addetto ai lavori. Vediamone alcuni aspetti eclatanti
Ci hanno sempre detto che la Bibbia era un’opera ispirata da Dio (quando ero piccolo addirittura mi dicevano che era stato Dio in persona a scriverla!). In realtà la Bibbia ha subito decine e decine di manipolazioni negli anni, come documentano diversità anche importanti presenti nei vari codici a noi pervenuti. Ma le variazioni non sono finite con la versione dei Masoreti, che è quella che fa da base alle nostre Bibbie. Non possiamo approfondire molto qui, ma a proposito di traduzioni falsate, prendiamo quanto Pinchas Lapide ha scritto nel suo “Bibbia tradotta, Bibbia tradita“, edito nel 2000 dalle Edizioni Dahoniane di Bologna (così non possiamo dubitare che si trattti di anticlericali). Egli, parlando del personaggio Martin Lutero e delle sue traduzioni, scrive: «In breve, come traduttore della Bibbia, Lutero fu di una temeraria unilateralità: unilaterale nella sua traduzione «frase per frase»; unilaterale nella sua rabbiosa polemica contro i «letteralisti», cattolici, «ebrei» e rabbini di tutte le tendenze; unilaterale anche nella motivazione teologica dei princìpi seguìti nella sua traduzione.
Egli volle interpretare la Bibbia ebraica solo in senso cristocentrico, come un libro che rinviava al Vangelo. Così dove essa «suggeriva Cristo» fece «spazio alla lingua ebraica» e scelse espressioni estremamente letterali, mentre dove descriveva l’essere, il sentire e l’agire umano sostituì per quanto possibile la descrizione ebraica con espressioni tedesche più scorrevoli e chiare».
Vogliamo parlare poi delle differenze nelle traduzioni in greco del III secolo avanti Cristo, di quelle presenti nelle versioni in aramaico (i targumim), e di tante altre?
Continuiamo allora con Martin McNamara, che nel suo “I targum e il nuovo testamento“, edito sempre delle Edizioni Dahoniane nel 1978, parlando appunto dei targum, anzi, al plurale targumim, mette in evidenza le differenze tra la fonte elohista e quella yahwista. Parliamo della versione in cui predominanti sono i “famigerati” Elohim, tutt’altro che unico Dio, e la fonte yahwista, che come abbiamo detto in altri articoli è stata redatta dopo il ritorno dall’esilio babilonese, e che vede Yahweh al centro di tutta la storia ed artefice di ogni passaggio. Versioni che, insieme a quella sacerdotale, sono poi state amalgamate alla men peggio nella versione che i Masoreti hanno completato con le vocali tra il VI e il IX secolo dopo Cristo e che costituisce la base delle nostre Bibbie attuali. McNamara scrive, tra le mille altre cose, che dopo il ritorno dall’esilio si arrivò all’eliminazione di antropomorfismi. «Questa tendenza – scrive McNamara – già manifesta nella fonte elohista del Pentateuco, divenne molto spiccata nel tardo giudaismo». Poi riprende una dichiarazione di D. Barthélemy nel suo articolo “Les tiqqune sopherim et la critique textuelle de l’AT”, in «Vetus Testamentum, Suppléments», v. 9 (Leiden, 1963), p. 292: «Se si può giudicare dalle tendenze evidenti nel libro delle Cronache e nell’antica traduzione dei Settanta, si può dire che la preoccupazione di eliminare dalla bibbia espressioni ingiuriose alla gloria di Dio, caratterizza in modo particolare l’opera degli scribi nei tre secoli precedenti la presa di Gerusalemme da parte di Pompeo».
Ancora convinti che la Bibbia sia un testo pervenutoci intatto dai tempi di Mosè?