Un pasticcio iniziato dagli ebrei al ritorno dall’esilio di Babilonia e completato da un San Paolo desideroso di dare una storia e una dignità alla religione che stava fondando
La Bibbia non è un libro sacro. Così titolava un suo saggio Mauro Biglino, uno studioso ben conosciuto nel settore, qualche anno fa.
E noi, facendo il lavoro proprio dei giornalisti di inchiesta, siamo andati a scavare nella storia di questo testo per cercare di capire quanto di vero ci sia in quell’affermazione.
Un lavoro tutt’altro che semplice, visto il numero di versioni che circolano. Il testo originale, va evidenziato, era scritto senza vocali, che nella lingua ebraica non esistono, ed è opinione unanime di studiosi ebrei, cattolici e cristiani in genere che abbia avuto un numero impressionante di manipolazioni nel tempo.
Questo ci porta al cosiddetto Codice di Leningrado (dal luogo in cui esso è conservato), che è quello in uso da parte della Chiesa cattolica. Esso risale al 1008 e deve la sua origine alla scuola masoretica (ovvero dei conservatori della tradizione), che aggiunse tra il VI e IX secolo i suoni vocalici al testo cercando di cristallizzarlo ed impedire nuovi cambi. Ma non fu la sola scuola biblica a farlo: nello stesso compito, producendo testi con centinaia di differenze anche molto importanti, si cimentarono la scuola palestinese e quella babilonese. C’è poi la Bibbia samaritana composta solo da quello che noi chiamiamo Pentateuco e dal libro di Giosuè, quella in greco conosciuta come Bibbia dei Settanta e la versione in aramaico detta dei Targûmîm, e ci fermiamo qui perché l’elenco non è finito.
A noi in questo momento interessa sapere come è diventato un libro sacro, se tale è davvero.
Partiamo allora dal concetto – assolutamente importante – che la mentalità ebraica (e non solo quella) inizialmente non conosceva nessun concetto trascendente, tanto che, come affermato anche in testi di provenienza cattolica, non esisteva un Dio da adorare come noi lo intendiamo oggi nemmeno nel loro vocabolario. La Bibbia era e fondamentalmente è ancora la memoria storica dei fatti avvenuti in seguito al patto tra un sanguinario condottiero militare (Yahweh) e una piccola famiglia ebrea, quella di Giacobbe-Israele, che come abbiamo scritto anche recentemente gli fu assegnata da Elyon, superiore gerarchico di Yahweh.
Quando cambiò la situazione? È presto detto: gli ebrei, soprattutto l’intellighenzia, furono deportati in Babilonia da Nabucodonosor tra il 598 e il 588 a.C. Proprio in questo periodo la presenza fisica di Yahweh, che viveva materialmente in mezzo agli israeliti, viene meno, e di lui non se ne parla più.
Quando nel 538 a.C. Ciro di Persia conquista Babilonia agli ebrei viene concesso di ritornare nella loro terra. Molti non lo faranno, ma tra quelli che tornano c’era i cosiddetti sacerdoti. Chiariamo innanzitutto che in quel periodo tra gli ebrei, i latini, i greci e presso altre popolazioni i sacerdoti erano semplicemente quelli che potremmo definire come una sorta di domestici della divinità, che provvedevano ai suoi bisogni e preparavano i sacrifici in suo onore.
Torniamo a Gerusalemme. Scomparso materialmente Yahweh che fanno quei furbacchioni dei sacerdoti ebrei? Si autoproclamano rappresentanti di Yahweh delegati a governare per suo conto, fondando un regime teocratico. Forma di governo oggi presente per esempio in Arabia Saudita, in Iran, nel moderno Israele e, non dimentichiamolo, nella Città del Vaticano.
Non sono pochi gli studiosi ebraici, ma anche quelli cattolici, a sostenere che la Bibbia fu quasi completamenti riscritta, o forse addirittura scritta per la prima volta, al ritorno dall’esilio di Babilonia. Lo scopo era far diventare progressivamente Yahweh il più importante tra gli Elohim e poi addirittura l’unico.
Ma la vera frittata l’ha fatta Saulo di Tarso, da tutti conosciuto con l’apostolo San Paolo: alla ricerca di un passato storico per il cristianesimo che stava fondando a dispetto dei reali seguaci di Yeoshua (Gesù, o meglio, Giosuè come abbiamo più volte visto), fa diventare questo rabbi messianista morto in croce per sedizione antiromana il figlio unigenito di Yahweh.
“San” Paolo non deve essere stato molto bravo, visto che nel Vangelo di Giovanni, molto successivo alle sue lettere, e precisamente in Giovanni 1, 18 e Giovanni 5, 37, Gesù dice che il padre suo nessuno l’ha mai visto: una contraddizione insanabile con quanto contenuto nella Bibbia, dove possiamo leggere che migliaia di persone hanno visto Yahweh, poi divenuto il Dio dei cristiani.