Per la Cassazione, la P.A. che, violando i principi di diligenza e prudenza, non riesca a limitare l’inquinamento acustico proveniente dalle strade comunali può essere condannata sia a risarcire i cittadini per la lesione del diritto alla salute, sia ad adottare le misure idonee a rendere tollerabili le immissioni di rumore
di Danila Sarno
Se i rumori provocati dalla movida selvaggia danneggiano la quiete pubblica e la salute dei cittadini, questi ultimi devono essere risarciti dal Comune per i danni subiti, siano essi patrimoniali o non patrimoniali. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 14209 del 2023, pronunciandosi sul ricorso proposto da una coppia bresciana, che aveva lamentato l’intollerabilità delle immissioni acustiche prodotte dagli avventori dei locali siti nel centro cittadino.
La decisione degli Ermellini ha immediatamente destato la preoccupazione di molti sindaci d’Italia, avendo essa spianato la strada a future class actions, volte ad ottenere il risarcimento dei danni da inquinamento acustico e suscettibili di gravare fortemente sulle casse erariali. Alla luce di ciò, sono molte le Amministrazioni comunali che sono immediatamente intervenute per cercare di correre ai ripari; tra di esse, il Comune di Napoli sta lavorando sia all’istituzione di un tavolo tecnico (con la partecipazione di gestori dei locali ed amministratori), che alla stipulazione di una convenzione con l’Arpac (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Campania).
Del resto, una simile apprensione è del tutto fondata, considerato che la succitata sentenza ha notevolmente ampliato l’ambito di responsabilità della Pubblica Amministrazione per i danni causati dalla movida, dettando dei principi destinati a influenzare le future decisioni dei giudici italiani in materia. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ribaltato la decisione della Corte d’Appello di Brescia, la quale aveva ritenuto che la titolarità passiva del rapporto giuridico dedotto in giudizio non spettasse al Comune di Brescia, in assenza di norme specifiche che pongano in capo alla Pubblica Amministrazione l’obbligo di un puntuale controllo sull’uso della strada, che non sia finalizzato alla mera tutela della quiete pubblica; l’ente convenuto, conseguentemente, a detta del giudice di secondo grado, non avrebbe potuto essere considerato responsabile per i danni provocati al riposo e alla salute dei cittadini dalle intollerabili immissioni acustiche provocate dalla movida molesta.
La Corte di Cassazione, invece, ha ritenuto che il cittadino debba essere tutelato anche quando fondamentali diritti soggettivi, quali il diritto alla salute (garantito dall’articolo 32 della Costituzione), il diritto alla vita familiare (garantito dall’articolo 8 della CEDU) e il diritto di proprietà vengono lesi dalla P.A., attraverso una condotta omissiva, consistente nella inosservanza dei canoni di diligenza e prudenza. Infatti, anche i Comuni sono tenuti a rispettare, nella gestione dei propri beni, i suddetti canoni, le regole tecniche e il principio del “neminem laedere” (in base al quale tutti hanno il dovere di non ledere l’altrui sfera giuridica), potendo essere condannati, in caso di inosservanza, sia al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali provocati, sia ad adottare tutte le misure necessarie a riportare le immissioni di rumore al di sotto della soglia di tollerabilità.
Del resto, in tal caso, la pronuncia del giudice non investe scelte autoritative, non influisce sulla conformazione del potere pubblico e, dunque, non comporta una violazione dei limiti interni della giurisdizione. In tale situazione, infatti, il magistrato ha solo il dovere di verificare se la P.A. abbia violato o meno il principio del “neminem laedere” per stabilire se sussista responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, per aver mancato di obbedire alle regole tecniche e ai canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni. Anche la domanda volta a far cessare le immissioni intollerabili non implica una violazione del principio di separazione dei poteri, poiché non è volta a imporre al Comune le modalità di esercizio del proprio potere discrezionale, ma solo l’obbligo di intervenire con misure idonee a rendere nuovamente tollerabili le immissioni acustiche, ripristinando così la legalità a tutela dei diritti soggettivi lesi.