Sono davvero sconcertanti le analogie tra quanto leggiamo nell’Antico Testamento, nel Crizia di Platone e nei testi sumero-accadici sulla divisione dei popoli
Da quando siamo nati ci siamo sempre sentiti dire che gli ebrei erano il popolo eletto e che dopo la resurrezione di Gesù messo a morte dagli ebrei il nuovo popolo eletto era quello dei cristiani. Ma cosa dice davvero la Bibbia in proposito?
Oggi scopriremo da un lato che il testo biblico dice in proposito tutt’altra cosa, e dall’altro che sia nel Crizia di Platone che nei testi sumero-accadici ci sono racconti perfettamente sovrapponibili con il vero testo biblico che noi, come al solito, leggeremo dalla versione della Conferenza episcopale italiana.
L’unica accortezza che useremo è quella di adoperare alcuni termini del testo ebraico originale: Elyon, che significa “quello che sta sopra“, ovvero “il capo“, e che in italiano viene tradotto con Altissimo; Yahweh invece della traduzione Signore; El o Elohim invece di Dio.
E allora partiamo con quanto possiamo leggere nel capitolo 32 del Deuteronomio. I versi che ci interessano solo l’8 e il 9 e poi il 12. E qui è da segnalare una delle cose più importanti della Bibbia, ovvero che il cosiddetto “popolo eletto” da Yahweh non è quello ebraico nella sua interezza ma una microscopica parte: Giacobbe e la sua famiglia. Quindi il fratello gemello Esaù, il cugino Lot, il padre Isacco non erano parte di questa “eredità”. Inoltre, il popolo eletto, come stiamo per leggere, Yahweh non se lo è scelto: gli è stato assegnato! Ecco il testo: “8 Quando Elyon divideva i popoli, quando disperdeva i figli dell’uomo, egli stabilì i confini delle genti secondo il numero degli Israeliti. 9 Perché porzione di Yahweh è il suo popolo, Giacobbe è sua eredità”. E ancora: “12 Yahweh lo guidò da solo, non c’era con lui alcun El straniero”. A parte che se Yahweh è l’unico Dio non si capisce quale Dio straniero poteva accompagnarlo, segnaliamo che nei testi biblici ritrovati a Qumran, più antichi di quasi mille anni rispetto alla versione masoretica da cui derivano le Bibbie che abbiamo in casa, non si legge “secondo i figli di Israele” o, peggio ancora, secondo il numero degli Israeliti, ma “sulla base dei figli degli Elohìm”, che è tutt’altro e ci permette di scrivere quanto segue.
Il racconto della divisione dei territori trova infatti uno stupefacente “gemello” nel Crizia di Platone, verso 13: “Gli dèi infatti un tempo si divisero a sorte tutta quanta la terra secondo i luoghi, non per contesa”. Questo testo è occasione per citare ancora una curiosità: sia l’assegnazione di parti di territorio ai vari dèi sia il “guidare da solo”, richiama alla mente quanto analogamente contenuto ancora nel Crizia di Platone, avendo a protagonisti i nomi degli dèi greci, ovviamente (vv. 15-16). “Gli dèi, avendo dunque ottenuto in sorte chi questi luoghi chi altri, li amministravano. Efesto e Atena, che hanno una natura comune, sia in quanto fratello e sorella nati dallo stesso padre sia in quanto pervenuti al medesimo fine per il loro amore della sapienza e dell’arte, così ricevettero entrambi un unico lotto, questa regione, come congeniale e naturalmente adatta per la virtù e il pensiero”. Il che avvalora il fatto che l’espressione del versetto 12 del Deuteronomio non sia buttata lì per caso. Infine, la divisione dei territori è contenuta anche nei testi sumero-accadici, dove in sintesi si dice che ci sono Anunnaki molto soddisfatti per la loro assegnazione, altri comunque contenti ed altri ancora, infine, scontenti perché a loro non era stato assegnato alcun territorio.