Morto a soli 21 anni, il talentuoso nocerino si è fatto apprezzare come novelliere e poeta. Oggi si celebra il 207esimo anniversario della sua nascita
In questi giorni la via dedicata a Saverio Costantino Amato, l’arteria del quartiere metropolitano divisa tra la Ztl e la sede centrale delle Poste Italiane, è chiusa al pubblico. Ma chi è il personaggio cui è dedicata?
Saverio Costantino Amato nacque il 4 marzo di 207 anni fa (era il 1816) da Costantino e Raffaella Guarna in «un casale d’un villaggio d’una città della provincia di Salerno» (come avrebbe detto lui stesso). Venne alla luce nella cittadina di Nocera Corpo e morì a Nocera (quando non esistevano due comuni, ma uno solo) il 9 novembre 1837, stroncato dalla tubercolosi. Durante questo breve lasso di tempo, questo talentuoso ragazzo ebbe modo di farsi apprezzare come poeta e novelliere.
Eppure, durante l’infanzia, Saverio Costantino non ne aveva voluto sapere nulla di studiare. Quando compì dieci anni, la madre gli regalò un libro del Metastasio e da quel momento: «il segreto del suo ingegno (ch’era agli altri e a se stesso un segreto) si rivelò» (come scrisse Michele Baldacchini nell’introduzione del volume «Prose e versi di Saverio Costantino Amato», il primo libro che gli fu dedicato). Rimasto presto orfano di padre, per studiare (e, probabilmente, per fuggire alle angosce della sua burrascosa famiglia), si trasferì a Napoli dove entrò nella schiera dei seguaci di Basilio Puoti. Prestissimo, iniziò a collaborare con le maggiori riviste letterarie partenopee di quel tempo: «Il Veliero»; L’Omnibus»; «Il Globo areostatico»; «Il Globo»; «Le Violette»; «L’Iride». Pubblicò due articoli anche sulla rivista milanese «La Fama». La morte prematura, avvenuta a soli 21 anni, ne oscurò la produzione artistica, ma non la memoria.
l talentuoso nocerino fu caro a tanti eruditi. Su tutti, Emanuele Greco, che curò il primo libro dedicato alle sue opere e Basilio Puoti, che dettò l’epitaffio sulla sua tomba.
Poi vi furono Francesco Mastriani, prolifico romanziere napoletano autore de «La cieca di Sorrento» e il critico letterario fiorentino Carlo Catanzaro. Quest’ultimo s’indignò moltissimo quando, nel 1877, un certo Giuseppe Centola pubblicò sulla rivista milanese «L’illustrazione popolare» una novella dal titolo di «Da prete a campanaro». Si trattava della spudorata riedizione della novella «Il campanaro d’una parrocchia», pubblicata postuma nel 1838. Nel 1888 un Carlo Catanzaro particolarmente indignato, nel far dono delle «Novelle storiche» (l’ultima delle raccolte che il fiorentino dedicò alle opere dell’Amato) al cavaliere Francesco Crispi, denunciò l’accaduto al Presidente del Consiglio.
{loadmoduleid 284}Perché il «Il campanaro d’una parrocchia» fece tanto parlare di sé? Quando lessi quell’opera per la prima volta pensai: «qui c’è del verismo» ma, pur avendo curato un volume sulla vita e le opere di Saverio Costantino Amato, non ebbi il coraggio di scriverlo (non sono un critico letterario). Per fortuna, qualcuno l’aveva notato prima di me. Nella prefazione al volume «Novelle postume di Saverio Costantino Amato» (edito a Firenze nel 1887), Carlo Catanzaro definisce il giovane scrittore nocerino: «onore delle lettere italiane» specificando che egli «appare nei suoi scritti come uno dei precursori della scuola verista che oggi ha seguaci così degeneri».
Le spoglie mortali di Saverio Costantino riposano in un’elegante tomba nel cimitero comunale di Nocera Inferiore. La sua memoria merita maggiore lustro? Non saprei dirlo. Di certo, le sue opere meritano maggiori studi e una considerazione più ampia.