Tra i reperti più affascinanti del sito, mostrano, fissati nel tempo, gli ultimi attimi di vita degli abitanti che non si allontanarono in tempo. La tecnica di ottenere forme di gesso fu ideata da Giuseppe Fiorelli nel 1863
Simbolo del principale evento eruttivo del Vesuvio in epoca storica, oggetto di ispirazione per poeti e artisti. Sono i calchi di Pompei, parte dei resti rinvenuti di oltre mille vittime dell’eruzione del Vesuvio del 79 che distrusse la città, seppellendola proprio insieme a quegli ultimi fuggiaschi che non fecero in tempo ad abbandonare la zona.
Durante la prima fase eruttiva gli abitanti che non si erano allontanati in tempo dalla città rimasero intrappolati negli ambienti invasi da pomici e lapilli o furono investiti dai crolli provocati dal materiale eruttivo depositatosi fino a un’altezza di circa tre metri; di queste vittime si sono rinvenuti soltanto gli scheletri. Successivamente un flusso piroclastico, ad alta temperatura, investì Pompei a grande velocità, riempiendo gli spazi non ancora invasi dai materiali vulcanici e provocando la morte istantanea per shock termico degli ultimi rimasti. I corpi di queste vittime rimasero nella posizione in cui erano stati investiti dal flusso piroclastico. La cenere solidificatasi in uno strato resistente detto “tuono” ne ha conservato l’impronta dopo la decomposizione. Fu proprio grazie ai vuoti creati da questa cenere indurita che alcuni archeologi ebbero l’idea di utilizzare una speciale tecnica per ottenere i calchi delle vittime. Poco più di un centinaio di calchi sono stati realizzati infatti a partire dal 1863, grazie al metodo perfezionato da Giuseppe Fiorelli: nel vuoto viene versata una miscela di gesso ed acqua fino a riempirlo; una volta asciugato, si procede nello scavo e si estrae la forma come uno stampo. {loadmoduleid 289}Quello di Pompei è un caso unico al mondo: a differenza di tutti gli altri siti archeologici, infatti, con questo processo non si conservano solo gli scheletri degli individui, ma addirittura la loro forma reale, il loro aspetto esterno, il loro abbigliamento, le loro fattezze, i loro gesti, anche se quelli tragici della loro agonia. I calchi sono per questo tra i resti più suggestivi del Parco archeologico di Pompei, perché mostrano la sofferenza e i tentativi di difendersi dalla morte, le ultime emozioni di quelle persone, a distanza di duemila anni. I numerosi calchi realizzati nel corso del Novecento sono generalmente lasciati a vista sul luogo del rinvenimento, in vetrine o protetti da tettoie; tra questi, tredici corpi sono raccolti nell’Orto dei Fuggiaschi. Nel 2015 ottantasei calchi sono stati sottoposti a restauro durante il quale è stata eseguita una TAC per individuarne l’età, le patologie mediche e le abitudini di vita. Tra i più famosi vi sono sicuramente “Gli Amanti“, due calchi estratti in epoca fascista che sembravano rappresentare un uomo e una donna abbracciati per affrontare insieme la morte. In realtà, proprio attraverso il più recente esame genetico, è emerso che i due erano entrambi uomini, di 18 e 20 anni.{loadmoduleid 284}