Per la Cassazione, lo sposo che lascia il proprio impiego per dedicarsi alla cura del figlio e della casa, ha diritto a ricevere un assegno di mantenimento adeguato al benessere materiale di cui godeva durante il matrimonio
di Danila Sarno
Il marito, che rinuncia al proprio lavoro per dedicarsi alla prole, deve poter ricevere un assegno di mantenimento adeguato, che gli permetta di conservare lo stesso tenore di vita, anche dopo la separazione. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, con ordinanza numero 26890 del 2022, accogliendo il ricorso proposto da un cinquantenne contro la decisione della Corte d’Appello di Milano che aveva ridotto da 1500 € a 300 € l’assegno che la moglie dell’uomo gli doveva corrispondere mensilmente.
Il giudice di secondo grado aveva disposto tale riduzione senza tener conto del fatto che il marito della donna, da ben dieci anni, per scelta concordata tra i coniugi, aveva abbandonato la propria attività di manager informatico, per dedicarsi alla cura del figlio invalido e della prestigiosa abitazione coniugale, di proprietà della moglie (la quale ha sempre goduto di elevatissime capacità economiche). A partire da quel momento, egli era stato mantenuto dalla consorte e, a seguito della separazione, non era più riuscito a lavorare regolarmente, né a permettersi una casa, tanto da doversi avvalere del sostegno materiale della sorella. L’uomo, dunque, ha proposto ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello, sostenendo che un assegno mensile di 300€ non sia adeguato a mantenere lo stesso tenore di vita di cui godeva prima della separazione e lamentando la violazione dell’art. 156 c.c, che impone al coniuge con maggiore disponibilità di provvedere al mantenimento dell’altro. Inoltre, a suo dire, la Corte di merito non avrebbe tenuto conto delle difficoltà che egli avrebbe riscontrato nel trovare un impiego; difficoltà dovute, oltre che alla sua non più giovane età, alla perdita delle pregresse capacità professionali nel settore informatico in costante evoluzione, essendo egli rimasto a lungo fuori dal mondo del lavoro. In effetti, secondo gli Ermellini, la Corte d’Appello non avrebbe rispettato il criterio di quantificazione del contributo di mantenimento seguito dalla Corte di Cassazione, secondo cui “i redditi adeguati (cui va rapportato l’assegno di mantenimento a favore del coniuge separato), in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio nella fase temporanea della separazione”. Ciò perché, a differenza del divorzio, a seguito della separazione permangono sia il vincolo coniugale che il dovere di assistenza materiale, essendo sospesi solo gli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione.
In conclusione, la Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassato la sentenza impugnata per motivazione apparente e disposto rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, per una nuova quantificazione dell’assegno di mantenimento.