Pronti a entrare nel vivo dei momenti più sentiti dell’evento sacro. Il racconto dell’evento dalla penna del compianto professor Raffaele Pucci
I preparativi della festa cominciavano il 5 luglio, con funzioni religiose notturne che duravano fino al 5 agosto. Queste funzioni preparatorie avevano grande partecipazione di fedeli della zona.
Dal 6 agosto iniziava la Novena, che durava fino al 14 agosto, ed era caratterizzata dalla recita del rosario all’alba e al tramonto. Alle funzioni della recita in chiesa partecipavano i fedeli che giungevano al santuario in piccoli cortei, di solito capeggiati da una persona che recava un quadro o un’immagine della Vergine o della croce. I fedeli lo seguivano intonando canti in onore della Vergine in dialetto, o recitando il rosario, anche in dialetto. Le messe, in chiesa, si celebravano ininterrottamente dalle ore 14 della vigilia (14 agosto) alle 14 del giorno dopo, mentre la notte, tra il 14 e il 15, si aveva il culmine della festa. I fedeli affluivano in gran numero da tutta la Campania e molti passavano la notte in chiesa o sul sagrato, dopo aver suonato e danzato con “tammorre” e nacchere. In Nocera Inferiore, al tramonto del 14 agosto, i carri addobbati con il quadro della Madonna, arricchiti di nastri rosa e celesti e fiori di ogni genere, si fermavano davanti ai bassi a raccogliere i vari personaggi che in pellegrinaggio si recavano alla festa in onore della Vergine di Materdomini di Nocera Superiore. Sui carri prendevano posto donne, giovani e anziane che sedevano anche sui trapuntini del lato destro e sinistro. I carri erano trainati da un cavallo e andavano piano, mentre i pellegrini cantavano la novena alla Madonna. I carri attraversavano tutti i quartieri di Nocera, dal Borgo a Liporta a Capocasale, passando per Sperandei, Capofioccano, Casale del pozzo e Casale nuovo.
Ogni carro aveva lo stendardo della propria associazione religiosa. I pellegrini, durante il percorso, alternavano nenie penitenziali a lazzi spesso a doppio senso. Le donne in questa occasione usavano vestirsi con abiti neri, in onore della Madonna. Dopo un percorso disagiato, finalmente, i carri arrivavano in prossimità del tempio. Vi era una marea di gente che rendeva maleodorante tutto il sacro luogo; nelle strade imperavano anche cattive abitudini (oggi fortunatamente scomparse) come quella considerata quasi rituale di allungare le mani sulle ragazze e di far fracasso, da parte dei ragazzi, con trombe di latta. La folla di fedeli si accalcava all’interno del tempio portando in braccio mazzi di candele votive, mentre il predicatore di turno, dal pulpito, li invitava a pentirsi dei propri peccati. Fuori la chiesa la caciara dei venditori delle bancarelle invitava le folle ad assaggiare “‘o pere e ‘o musso”, la famosa palatella con alici e “‘mpupata” (pane di forma oblunga e per companatico melanzane sotto aceto piccante condito con olio e aglio e con alici salate), lumachine “‘e maruzzielli”, conditi con aglio, prezzemolo e peperoncino piccante, pannocchie arrostite, fette di melone “‘e fuoco” (anguria); come dolci c’erano: “‘a copeta” (torrone con nocciole invece che mandorle), “‘e castagne d ‘o prevete” (castagne secche) e “‘e ‘ndriti” (nocciole sgusciate cotte al forno ed infilate a mo’ di rosario). Il vino non era d’uso. Accanto alle bancarelle di giocattoli e dolciumi si svolgeva la fiera di cesti e oggetti di vimini. Il popolo dei pellegrini , dopo aver consumato “‘a palatella” e “‘a mpupata” si lasciava andare in diaboliche tarantelle e danze intrecciate in un tripudio di estrema carnalità. All’alba del giorno successivo, ripresi gli sbilenchi carri, i pellegrini ritornavano alle loro povere dimore, mentre nuovi fedeli si recavano a venerare la Vergine nera. Molte di queste tradizioni sono sopravvissute al tempo, così che a tutt’oggi, è rimasto vivo nell’animo della gente, l’amore e il culto per la Madonna di Materdomini.{loadmoduleid 289}{loadmoduleid 288}