Dobbiamo alla fondatrice del quotidiano “Il Mattino” una simpatica e tragicomica versione sulle origini della pietanza di cui re Ferdinando era tanto ghiotto da mangiarla con le mani
Chi non ricorda la mitica Matilde Serao, la giornalista e scrittrice che nel 1892, insieme a Edoardo Scarfoglio, fondò il quotidiano “Il Mattino“?
È grazie alla sua fantasia, alla sua romanzata versione che riportò nel suo libro “Leggende napoletane“, pubblicato nel 1895, che la leggenda della nascita dei maccheroni prese corpo. Una pietanza così gradita anche a corte che re Ferdinando, che ne era decisamente ghiotto, li mangiava con le mani.
Secondo la Serao tutto ha inizio nella Napoli del 1220, governata dall’imperatore Federico II. In una palazzina malfamata viveva un mago di nome Cicho. Sempre vestito in abiti scuri, Cicho passava le notti a lavorare in una piccola stanzetta: chi lo intravedeva dalla finestra notava del preoccupante liquido rosso sulle sue mani ed un calderone in cui rimestava erbe, probabilmente demoniache. Tutti lo temevano e, al contempo, lo rispettavano data la sua fama di persona colta.
Cicho non era però un mago: di buona famiglia, in un momento di crisi economica decise di investire i suoi ultimi averi per dar vita a qualcosa qualcosa di prezioso da regalare all’umanità. Così studiò antiche pergamene, manoscritti di alchimia e di cucina. Dopo notti estenuanti di studio e lavoro Cicho, al buio della sua stanzetta, aveva creato la pietanza più buona al mondo: i maccheroni al pomodoro.
Tutto bene? No… «Accade – scrive Matilde Serao – che sul terrazzino di Cicho il mago sporgesse anche una porticina di una stanzuccia dove abitava con suo marito Jovannella di Canzio. Era costei maliziosa, astuta e linguacciuta quanto mai femmina possa essere». La donna, in qualche modo, riuscì a scoprire il segreto di Cicho, e, dal momento che era sposata con lo sguattero del cuoco del re, convinse il marito a rivelare la ricetta a corte. Il re si convinse a chiamare i due per provare questa prelibatezza e – continua la Serao – «in tre ore ebbe tutto fatto. Ecco come: prese prima fior di farina, lo impastò con poca acqua, sale e uova, maneggiando la pasta lungamente per raffinarla e per ridurla sottile sottile come una tela; poi la tagliò con un suo coltellaccio in piccole strisce, queste arrotolò a forma di piccoli cannelli e fattane una grande quantità, essendo morbidi ed umidicci, li mise a rasciugare al sole. Poi mise in tegame strutto di porco, cipolla tagliuzzata finissima e sale; quando la cipolla fu soffritta vi mise un grosso pezzo di carne; quando questa si fu crogiolata bene ed ebbe acquistato un colore bruno-dorato, ella vi versò dentro il succo denso e rosso dei pomidoro che aveva spremuti in uno straccio; coprì il tegame e lasciò cuocere, a fuoco lento, carne e salsa. L’uomo fece scattare un passaparola ed, in poco tempo, sul tavolo di Federico arrivò un piatto di maccheroni con la salsa al pomodoro ed una grattata di grana».Poi, rapito dalla bontà del piatto, chiese a Jovannella come avesse potuto realizzarlo, e lei, gran furba, spiegò che le era apparso un angelo in sogno e l’aveva istruita. Ed «il gran re volle che il suo cuoco apprendesse la ricetta e donò alla Jovannella cento monete d’oro». Tutti i nobili di Napoli seguirono l’esempio del re, e fecere istruire i vari cuochi ricompensando Jovannella che divenne davvero ricca.
E il povero “mago” Cicho? Scoperto di esser stato tradito dalla donna, cornuto e mazziato, «disperato d’ogni cosa, tornatosene alla sua casetta, rovesciò lambicchi, storte, tegami, forme e coltelli; ruppe, fracassò tutto; abbruciò i libri di chimica. E partissene solo ed ignorato, senza che mai più fosse veduto ritornare».
Jovannella solo sul letto di morte decise di confessare il suo misfatto. Si racconta che ancora oggi, passando di notte vicino alla palazzina diroccata, si possa vedere alla finestra Chico che taglia i suoi maccheroni, Jovannella che li cuoce ed il diavolo che tiene acceso il fuoco.{loadmoduleid 284}