Avellino e Salerno le province maggiormente colpite. Circa 3000 morti, quasi 9000 feriti e 300000 sfollati. Il ricordo di una catastrofe ancora vivo nella memoria di molti
Erano le 19:35 del 23 novembre del 1980 (come resterà cristallizzato dalle rilevazioni dei sismografi visibili in foto), quando la Campania e la Basilicata furono scosse da un primo lieve sussulto della terra, proprio mentre nella prima serata domenicale, le famiglie e gli amici si riunivano per la cena, il caffè o la consueta partita di carte al bar; come d’uso nelle nostre regioni.
Un tremito dapprima lieve che si intensificò in uno dei terremoti più distruttivi del Meridione d’Italia, con una scossa prolungata che durò interminabili 90 secondi.
Di decine di borghi e paesini dell’Irpinia, in pochi minuti, non restarono che macerie, calcinacci, fango e polvere. E sotto di questi, una popolazione già stremata da un’economia ancora rurale e contadina.
Laviano, Lioni, Sant’Angelo dei Lombardi, Castelnuovo di Conza, Santomenna, tra i paesi più colpiti.
Le rare foto aeree dell’epoca riportano immagini terribili di centri abitati completamente rasi al suolo.Ulteriore dramma, come denunciato da giornalisti ed intellettuali dell’epoca, fu il ritardo nell’arrivo dei soccorsi. Molti avrebbero potuto salvarsi con un rapido intervento che però non arrivò. La viabilità in queste province, ancora rurali, non permise che i mezzi potessero raggiungere agevolmente e con tempestività le cime dove solitamente sorgevano gli agglomerati delle casupole che sovrastavano gli ampi campi a valle.
I primi ad arrivare e scavare i corpi sotto le macerie furono volontari ed i tanti lavoratori emigrati tornati dal Nord a cercare quel che rimaneva delle proprie famiglie e vecchie case ridotte in polvere.
Una denuncia con riguardo alla lentezza dei soccorsi, che fu anche politica, di uno Stato ancora troppo spesso lontano dal Meridione d’Italia. Domenico Rea (di cui quest’anno ricorre il centenario) a tal proposito scrisse:
“ […]Poi c’è stato l’evento,
nero furore profondo,
tra l’ictus e l’infarto,
un dubbio, come un peso
di una bilancia impazzita.
Ho sentito il passo di Pertini
E quello felpato del Papa,
ma né l’uno, né l’altro,
umane creature, avevano unghie per scavarci.
E così siamo morti da emarginati
Da antichi clandestini della storia.”{loadmoduleid 287}