Esiste ormai un’ossessione quasi morbosa da parte dell’insaziabile moloc burocratico con continue richieste di dati, informazioni e monitoraggi. E la didattica, quella vera?
Un articolo di Mario Maviglia del 10 aprile 2017 iniziava con un titolo che di per sé era anche una dichiarazione programmatica; in questo articolo, si lamentava la sempre più invasiva e aggressiva presenza degli aspetti burocratici nella gestione della scuola, che è stata fatta di “un’ossessione quasi morbosa da parte dell’insaziabile moloc burocratico con continue richieste di dati, informazioni e monitoraggi”.

La scuola deve essere di per se stessa dinamica e deve essere pronta a ritornare ad affrontare le sfide e le criticità che si presentano in maniera agile, flessibile e anche secondo una logica di buon senso: in fondo, nell’ambiente scolastico creiamo soprattutto relazioni umane.
Ma ogni attività o agire (didattico e non), il ‘fare’ in pratica, si scontra con la logica e il burocratesco linguaggio del “si dovrebbe fare così”, cioè con il pesante apparato burocratico che da tanti anni grava sulla nostra scuola e che si materializza in corsi di aggiornamento inutili o quasi, lunghe riunioni su progetti del tutto avulsi dalla didattica, commissioni istituite per elaborare documenti pletorici indicate con orrende sigle. A ciò si aggiungono documenti da firmare, moduli da riempire, domande da compilare e compiti specifici da eseguire per particolari categorie di alunni anch’esse indicate da brutte sigle o da assurde norme di privacy per cui il nome dell’alunno deve essere enunciato con le sigle o nascosto dietro il qualsivoglia elaborato.
Tutto ciò contribuisce a complicare la vita dei docenti e soprattutto a ridurre le loro energie da destinare a quello che dovrebbe essere il loro vero compito per il quale ricevono lo scarso e inadeguato stipendio, cioè l’attività didattica.
Questa massiccia presenza della burocrazia e dei carichi di lavoro che comporta si è determinata dal varo della cosiddetta “autonomia scolastica”; se facciamo un confronto con quelli che erano gli impegni dei docenti negli anni ’60 e ’70 si può toccare con mano una notevole sproporzione. I docenti di oggi partecipano in un mese al numero di riunioni che allora si svolgevano in un anno, hanno tanti compiti e responsabilità in più e sono gravati da carichi burocratici pressanti che li costringono a restare a scuola molto più spesso di prima ed a portarsi anche il lavoro a casa (e ciò non accade in nessuna amministrazione pubblica).
Gli effetti di questa situazione, infatti, si cominciano a vedere: in alcune regioni ed in certe materie i docenti cominciano a mancare, perché giustamente si cercano altre vie più redditizie, anziché venire nella scuola a rodersi l’anima ed a ricevere un misero stipendio e farsi venire il mal di testa a fine giornata.
Sì, perché oltre a lavorare molto e guadagnare poco, c’è da mettere in conto anche lo scarso rispetto e la scarsissima considerazione sociale di cui oggi gode la categoria degli insegnanti.

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