È un facilitatore dell’apprendimento, con competenze pedagogico-didattiche e relazionali; un costruttore di trame e di reti tra gli alunni della classe, tra i docenti, tra i genitori e gli enti esterni
Il ruolo del docente di sostegno, grazie anche a una delle normative più evolute d’Europa frutto di un più che quarantennale percorso legislativo, normativo e di preparazione professionale, ha nel quadro normativo italiano un ruolo ben chiaro e definito.
Ben inquadrato nel contesto della classe, interagisce coi colleghi e con gli alunni per favorire la cultura dell’inclusione, fornendo un supporto all’intera classe, diventando un facilitatore dell’apprendimento e un riduttore di complessità, con competenze pedagogico-didattiche e relazionali; pertanto, deve essere un costruttore di trame e di reti tra gli alunni della classe, tra i docenti, tra i genitori e gli enti esterni.
Non poche le criticità che, tuttavia, emergono: dallo scarto notevole tra il fabbisogno stimato e quello effettivamente rilevato, che condanna migliaia di insegnanti a una sorta di precarietà strutturale, mentre si è costretti ad assegnare la maggior parte delle supplenze a docenti non specializzati.
E questo discorso si lega con un altro interrogativo: abbiamo detto del primato italiano nell’inclusione scolastica; tuttavia, quanto è efficace nei casi di una diversa abilità molto grave?
E su questo interrogativo il dibattito è ancora molto aperto e su questo punto sarebbe necessaria una seria e molto etico-pragmatica riflessione, soprattutto pensando al ‘dopo’ la scuola e al ‘dopo’ genitori: ce lo impone il nostro dovere etico di cittadini unito a quello professionale.
Si ricorderà la vexata quaestio sul decreto numero 384, riguardante la valutazione e gli esami del primo ciclo, che, nella sua prima stesura, per gli alunni con disabilità e percorsi differenziati, prevedeva a conclusione degli studi del primo ciclo il semplice attestato di credito formativo. La prospettiva ha creato molte proteste e l’allora MIUR si è mostrato disponibile a rivedere il testo, in modo da consentire di conseguire il titolo a tutti gli studenti con disabilità. Questo era un aspetto molto centrale e delicato che, se non rivisto, avrebbe comportato la conseguente impossibilità di proseguire negli studi di secondo grado per accedere all’esame di stato in vista del diploma finale, implicando con notevole anticipo la prospettiva di ottenere il solo attestato di credito formativo.
Anche su quest’ultimo aspetto il dibattito in corso è molto vivace e diverse appaiono le posizioni degli esperti, tra chi si è mostrato piuttosto scettico sull’utilità o meno che i ragazzi con disabilità intellettiva accedano agli attuali studi universitari, tarati su programmi molto astratti e, quindi, intellettivamente difficili; e chi, invece, ha auspicato il superamento della logica dell’esclusione tramite “accomodamenti ragionevoli” che possano rendere adeguati i percorsi di studio; e chi, infine, ha sottolineato la necessità di non generalizzare, evidenziando la centralità del diritto soggettivo e la significatività, per ogni singola persona.