Quasi trecento soldati del Centro Addestramento Reclute della caserma Libroia finiscono in infermeria. Febbre alta, mal di gola, faringite. In tutta la città scatta il panico per il diffondersi dell’influenza
di Nello Vicidomini
Faringite e febbre a quaranta per duecentosettanta soldati. A fine maggio del 1965 la tranquillità di Nocera Inferiore viene turbata dalla notizia di una “misteriosa epidemia” in caserma. Il focolaio si verifica nella “Libroia” in viale San Francesco, che ospita 2.400 militari del Centro Addestramento Reclute Truppe Corazzate.
L’allarme scatena il panico in tutta la città, soprattutto nei quartieri Grotti, Casolla e Mercato, quelli più frequentati dalle reclute durante le uscite. La maggior parte dei casi si registrano di domenica e mettono in stato di apprensione mezza Italia, rinnovando la psicosi dei tempi in cui alcuni paracadutisti di Pisa erano deceduti improvvisamente. Il sabato precedente, in libera uscita, bersaglieri e cavalieri del primo e secondo scaglione aveva superato l’uscio sul viale San Francesco sotto lo sguardo del colonnello Gian Luigi Durante, comandante del Terzo Battaglione. Scarpe lucide, buffetterie in ordine, facce abbronzate. Giovani romani, piemontesi, lombardi, toscani, in molti da poco tempo sotto le armi, escono per godersi qualche ora in città. La mattina successiva è il caos: molte reclute “marcano visita”, dinanzi alla porta dell’infermeria si forma una lunga fila di soldati. I ragazzi accusano tutti gli stessi sintomi: bruciore alla gola, abbassamento di voce, difficoltà nella deglutizione, febbre da trentotto a quaranta. In due giorni i casi di faringite salgono a duecentosettanta. La maggior parte dei militari viene sistemata nell’infermeria perché gli ufficiali medici possano controllare le loro condizioni. A Nocera la notizia si diffonde immediatamente. Qualcuno parla di “misteriosa epidemia”, qualche altro giura di aver visto svenire in strada alcune reclute. Tra i civili prendono vita le ipotesi più assurde: lievita la favola di una specie di quarantena, in molti puntano il dito contro una famiglia romana che il giovedì precedente aveva fatto visita al figlio febbricitante, colpevole secondo loro di aver diffuso il virus. Nel giro di pochi giorni, però, l’allarme rientra. Con le opportune cure la febbre comincia a scendere, fino a scomparire nella stragrande maggioranza. Nessuno specialista chiamato da Napoli o da Salerno, come si era detto in un primo momento. Non è sospesa nemmeno per un giorno la libera uscita. Nella caserma del Terzo Battaglione di truppe corazzate tutto torna a svolgersi come al solito. Arriva anche un comunicato del ministero della Difesa a calmare le acque. Mai individuata la reale causa del focolaio di infuenza. Forse acqua inquinata proveniente da una tubatura rotta. C’è chi sostiene invece che la responsabilità della infezione debba ricadere sui vecchi materassi in dotazione al Car. Si provvede allora alla totale disinfezione di tutti i locali dei sei edifici, alla riparazione della tubatura scoppiata e alla sostituzione dei materassi. Nel giro di una settimana tutto torna alla normalità nella caserma e i soldati riprendono la quotidiana attività: i brividi di freddo, l’irritazione alle tonsille e la temperatura fino a 40 gradi diventano soltanto un brutto ricordo. I nocerini preoccupati non solo per la loro salute, ma anche per il rischio di una eventuale chiusura temporanea della caserma, con inevitabili grosse ricadute sull’economia locale, possono tornare a stare tranquilli. Non vi è nessuna “misteriosa epidemia”.