Tra gli ammanettati Rosario Giuliano, detto ‘o minorenne: aveva stabilito la sua base in una discreta ede anonima mansarda nella città di Sant’Alfonso. La droga principale affare dei clan colpiti
Aveva base operativa in un’anonima mansarda di Pagani Rosario Giugliano, detto ‘o minorenne, sessantenne di Poggiomarino arrestato alle prime ore di stamani dai Carabinieri del Reparto territoriale di Nocera Inferiore insieme al paganese 31enne Nicola Francese.
I due sono accusato di essere gli esecutori materiali del tentato omicidio tentato il 13 aprile scorso ai danni di Carmine Amoruso, ex collaboratore di giustizia uscito volontariamente dal programma di protezione di cui faceva parte e sfuggito alla pioggia di proiettili, ben 14, sparatigli dai due.
Amoruso, stabilitosi anche lui nell’Agro dopo l’uscita dal programma di protezione, era deciso ad affermare la sua posizione nell’Agro.
L’operazione, coordinata dalla Dda di Salerno, ha visto contemporaneamente eseguire altri 26 arresti ordinati dalla Dda di Napoli ai danni di un clan di Poggiomarino. Un’operazione che ha visto ancora una volta confermare una frequente collaborazione tra la malavita organizzata del napoletano e quella del salernitano, e particolarmente dell’Agro nocerino-sarnese. Inquirenti abbottonati sui motivi del tentato omicidio: esclusa però con decisione come motivazione quella delle rivelazioni fatte da Amoruso nel periodo in cui è stato collaboratore di giustizia. Non confermata nemmeno l’appartenenza ai due arrestati, o a loro uomini, delle armi e della droga ritrovate qualche giorno fa in una casa rurale di San Marzano sul Sarno. Un fiorente commercio di droga era gestito da Rosario Giuliano, già condannato con sentenza irrrevocabile per numerosi omicidi ed estorsioni, nonché per partecipazione all’ associazione mafiosa di tipo camorristico capeggiata da Carmine Alfieri e, in particolare, della sua articolazione riferibile a Pasquale Galasso. Iniziata la carriera criminale da giovanissimo (di qui il soprannome di ‘o minorenne) Giugliano aveva accumulato condanne per complessivi 227 anni, 7 mesi e 28 giorni, poi ridotte a 30 anni complessivi. Dal 2020 era tornato in libertà, ma gli inquirenti hanno appurato che aveva continuato a gestire affari loschi grazie ai colloqui con la compagna, di Pagani, e tramite il figlio di lei, Alfonso Manzena.