Si era avuta l’occasione di trasformare l’emergenza da pandemia in una possibilità, durante tutti questi mesi di chiusura, e in parte è stata sprecata: la montagna partorì il topolino
di Francesco Li Pira
Tra poco la campanella suonerà per accogliere gli studenti italiani dopo una sospensione più che semestrale – eccezion fatta per le maturità o gli esami integrativi – delle attività in presenza.
Da mesi, tra effettivi problemi e amare vignette satiriche (che, sdrammatizzando, stanno facendo lapalissianamente conoscere le criticità), stanno emergendo, come in un novello vaso di Pandora, tutti i problemi e le criticità della scuola, acuite da quasi un trentennio di malsane riforme, volte solo a lasciare una patente di immortalità ai vari proponenti, o dallo snaturamento successivo di ciò che di buono c’era nelle riforme.
Non si vuole essere critici, non è il mio habitus, ma si vuole solo essere realisti. Paghiamo lo scotto di un arraffazzonamento che in Italia è stato reso una virtù, rendendo la provvisorietà una forma di definitiva certezza: contraddittorietà e precarietà nelle indicazioni che giungono dagli Enti preposti, precarietà nella ripartenza, precarietà nei servizi offerti e nella mobilità integrata scolastica, precarietà nelle graduatorie e nelle supplenze e, quindi, precarietà dei più deboli, come gli alunni con diversa abilità.
In numerosissime scuole le problematiche sono immense e non risolvibili se non con un cospicuo finanziamento e una rivoluzione edilizia copernicana: non di rado, alla sola comunità educante è stato lasciato il compito di trovare soluzioni (con una responsabilità non da poco) nel riallestimento/rifacimento edilizio degli spazi, nella disposizione dei banchi per mantenere il distanziamento interpersonale (che credo suoni molto meglio di sociale!), o le soluzioni possibili per una entrata/uscita in sicurezza o l’elaborazione di un regolamento scolastico ad hoc apposito per disciplinare spostamenti, ricreazioni e refezioni.
Sicuramente, sarebbe stato meglio che il Ministero preposto avesse preparato tutto ciò e che i sei mesi di sospensione delle attività scolastiche in presenza fossero stati usati adeguatamente in vista di una ripartenza sicura (con un decalogo semplice, univoco e chiaro) con una partecipazione attiva degli USR e degli USP nel supportare e indirizzare le attività delle scuole predisponendo una comune linea guida e intervenendo già da aprile con una serie di adeguamenti edilizi: allora sì che c’era il tempo.
Inoltre, con le risorse messe in campo per il reperimento degli ultimi e famosi banchi monoposto, si sarebbe potuto intervenire con un vero piano di edilizia scolastica, il che rappresenta il più annoso problema … magari era anche più duraturo, mentre per i banchi si potevano fare scelte più bio e plastic-free (non era una famosa tendenza pre-Covid, forse declassata de facto a moda ora?), magari facendo lavorare artigiani specializzati, fermi a causa del lockdown, nel recupero di materiali dando fiato anche all’economia e ottimizzando così le risorse.
Ma qual è il punctum dolens maggiore? La cura dei ragazzi dotati di diversa abilità, la cui inclusione è un vanto delle scuole italiane.
Certo che per loro, a seconda della criticità dei vari casi, non di rado la DAD non ha avuto effetti rilevanti, mentre il peso maggiore del periodo è ricaduto di sana pianta sulle famiglie. Diciamolo francamente: non tutti i casi di diversa abilità possono interagire proficuamente con questo tipo di didattica e si è visto. le maggiori criticità si possono ricondurre a due: una storica, come il valzer dei docenti; e l’altra attuale, come le problematiche, alla luce delle disposizioni emergenziali anticovid, del ritorno in classe degli studenti con diversa abilità.
Per il primo punto, è notizia recentissima (ma rientra in quella codificazione della precarietà detta poco sopra) che 6 alunni su 10 cambiano docenti di sostegno a discapito di una progettualità iniziata e di un percorso fatto, perché la maggior parte dei docenti di Sostegno (essendo poche le cattedre di organico di diritto) sono docenti precari purtroppo.
Forse era il caso di lavorare meglio alle nuove graduatorie – e per la prima volta il tempo in abbondanza c’era – e di snellire non solo l’accesso alle convocazioni, ma anche di evitare il ginepraio di azioni in deroga da parte degli USR in merito alla gestione delle convocazioni, con azioni legali successive da parte dell’apposito Ministero competente.
Tra alcune norme della cd. “Buona Scuola” (L. 107/2015) una valida era quella relativa all’impegno di rimanere nella scuola di nomina (soprattutto in caso di ruolo su Sostegno) per un determinato numero di anni sulla base di certi parametri in modo da garantire la continuità didattica nel conseguimento del successo formativo dell’alunno.
Senza parlare qui del problema, sarebbe però il caso di un ripensamento complessivo che metta al primo posto il benessere dell’alunno e le strategie per un corretto successo formativo: la professionalità docente, infatti, vive di ciò e si permea di ciò.
Per quanto riguarda il secondo punto non si può negare, anche alla luce delle proteste di alcune associazioni di tutela, che il problema sia assai spinoso e scottante con scuole trasformate, a pochi giorni dall’inizio dell’anno scolastico, in veri e propri cantieri: mancano numerose rampe di accesso e non tutte le scuole sono dotate di ascensori, si sono sacrificati laboratori, aree e spazi dove gli alunni diversamente abili lavoravano da soli o in gruppi o dove, semplicemente, si rilassavano e calmavano le loro ansie .
Per non parlare dell’obbligo di mascherine o di altri dispositivi di protezione individuale che difficilmente saranno accettati e tollerati da numerosi ragazzi che, inconsapevolmente, se li toglieranno o avranno difficoltà nel distanziamento … ma sono proprio questi ragazzi i più fragili! Cosa può fare in questo caso in sicurezza il docente di Sostegno? Macroscopica è distanza tra la burocrazia della “carta a posto” e l’attuazione pratica, soprattutto se dovessimo andare a una nuova didattica a distanza: inevitabile che a soffrire saranno proprio loro, con un sovrappeso sulle famiglie, poco attenuato dalle misure di smart working o dai congedi parentali predisposti dal Governo.
A seconda delle tipologie di diversa abilità, non solo serve un contatto coi i compagni, ma serve spesso la pedagogia e la psicologia della vicinanza: la figura o le figure di riferimento che agiscono in maniera integrata e sinergica e che da vicino seguono l’alunno.
Facendo salvi tutti i protocolli di sicurezza, forse era il caso di predisporre una homeschooling specifica per i casi più gravi e la predisposizione di talune aule in centri idonei, dove si possano in maniera sinergica operare azioni sanitarie, psicomotrici e culturali molto più proficue ed efficaci per lo studente e più rasserenanti per le famiglie.
Si era avuta l’occasione di trasformare l’emergenza da Covid in una possibilità, durante tutti questi mesi di chiusura, e in parte è stata sprecata: e la montagna partorì il topolino. Si era avuta la possibilità temporale ed economica di un enorme piano di edilizia scolastica e di rinnovamento, ma è stato in parte perso.
Nella emergenza della riapertura del nuovo anno scolastico – necessità improrogabile – redistribuire meglio le risorse non vuol dire spendere meno, bensì spendere meglio (anche magari di più, ma in azione durature che portino un risparmio nel tempo), per creare quella edilizia scolastica – sia umana che materiale – nella quale le scuole ritornino ad essere luoghi centrali e accoglienti, con spazi idonei (senza deroghe per numeri classi, come negli ultimi decenni) per tutti, prevedendo, per i casi più gravi di diversa abilità, una cooperazione che inglobi la scuola con gli spazi della ginnastica e della salute.
Questa è la grande sfida del domani e questo solo può trasformare l’emergenza da Covid in una sfida vera e in un duraturo miglioramento della Scuola.