Tra il 1777 e il 1780 il viaggiatore britannico visitò il Regno delle due Sicilie attraversando anche l’Agro per raggiungere Paestum. Sbigottito per ciò che aveva visto nella valle del Sarno, scrisse che la Madonna delle Galline era una delle più esagerate superstizioni di questo popolo litigioso
di Nello Vicidomini
Nato in una famiglia cattolica a Bristol, lo scrittore Henry Swinburne girò il continente da giovane per trovare la giusta ispirazione per i suoi studi, come avveniva all’epoca per tutti coloro che prendevano parte al Grand Tour, giungendo in particolare in Italia. Studiò presso l’Accademia Reale di Torino, dove concentrò i suoi studi per l’arte e l’italiano; dopo il matrimonio in Gran Bretagna, continuò i suoi viaggi con la moglie nonostante il reddito modesto di cui disponeva. In particolare, nel 1777 intraprese un viaggio a Napoli e nel Regno, per visitare le bellezze e migliorare la sua conoscenza storica. Nel suo diario di viaggio “Travels in the Two Sicilies 1777-1780” pubblicato a Londra nel 1790, il giovane viaggiatore britannico si dichiara sorpreso dalla magnificenza dei luoghi che si trova di fronte attraversando l’Agro per raggiungere l’antica Paestum. Descrive molto positivamente, ad esempio, il fiume Sarno a Scafati e il borgo Vescovado di Nocera, riferendosi anche ai miracoli della Madonna dei Bagni: “Attraversai il Sarno sul ponte di La Scafata, vicino al punto in cui morì Teia, re dei Goti. Il Sarno è un bellissimo fiume limpido, abbondante di anguille e rane, ma troppo profondo per essere guadato […]. La Scafata è oggi soprattutto conosciuta per la sua chiesa, dedicata alla Madonna, che svolge i suoi miracoli nell’acqua. Migliaia di devoti si immergono nelle sue acque per curare diverse patologie. In passato uomini e donne si tuffavano promiscuamente, ma da qualche anno il governo ha obbligato loro di bagnarsi in piscine separate […]”. “Successivamente passai attraverso la città episcopale di Nocera, che potrebbe essere considerata come un gruppo di villaggi. Il suo conglomerato si estende dai piedi delle montagne e forma la Città Sotana (Nocera Sottana), o Bassa Città, mentre di palazzi vescovili e alcuni conventi, circondati da boschetti di cipressi, in cima all’intera valle in maniera molto pittoresca, si compone la Città Soprana (Nocera Soprana). Nocera contiene circa trentamila abitanti, se i loro conti sono precisi; essi sono concentrati in quaranta gruppi di abitazioni. Le loro case sono fatte di due tipi di pietra; i muri comuni sono costruiti con il tufo giallo scavato nelle colline presenti ad un miglio verso est […]; gli archi di porte e finestre sono fatti di una pietra nera raccolta nella collina di Fiano, due miglia a nord. Le grandi terre di Nocera sono situate verso ovest; molte di queste permettono tre coltivazioni all’anno: fagioli, grano saraceno, broccoli e verdure simili; l’affitto abituale è di venti ducati per moggio […]. C’è una terza e più preziosa distesa, chiamata le Padule o Ingegni, dall’uso della ruota egiziana. Questa parte è assegnata agli orti e produce sia frutti che verdure con stupefacente abbondanza […]“. Se è vero che rimane soddisfatto dell’abbondanza di raccolti e della fertilità dei campi che circondavano Nocera, Swinburne diventa estremamente critico nel parlare dei nocerini-paganesi dell’epoca: “Il vino è davvero abbondante e i nocerini ne bevono molto, e ciò provoca risse perpetue e spargimenti di sangue tra di loro“. Pur essendo a conoscenza della millenaria storia di Nuceria Alfaterna, lo scrittore di Bristol erroneamente scambia Nocera per Lucera, in Puglia, per cui secondo lui Federico II ne avrebbe fatto una colonia saracena. E ciò accresce inevitabilmente in lui i pregiudizi sulla popolazione locale, siccome i musulmani non erano visti di buon occhio: “Nocera è un luogo di grande antichità: nel tredicesimo secolo ha acquistato l’appellativo “dei Pagani”, per distinguersi da una città dell’Umbria con il nome simile. Questa modifica del nome allude alla colonia di Saraceni portata dalla Sicilia da Federico di Svevia, e spostati qui per essere allontanati dalla loro pericolosa connessione con l’Africa“. Dopo aver parlato degli avvenimenti relativi al castello di Nocera con molti dettagli, Swinburne ritorna a descrivere la situazione sociale: “L’assenza del duca ha causato una relazione fatale tra giustizia e ordine e ha reso Nocera famosa per liti e contrasti. Un mio amico, il cui lavoro lo obbliga a venire frequentemente in questa città, ha acquisito così un’approfondita conoscenza del luogo e degli abitanti, dipingendo i Nocerini essenzialmente diversi dal resto dei Campani. Lui pensa che abbiano ereditato dai loro antenati Arabi un temperamento molto incline agli spargimenti di sangue; propensi alle proteste e irriducibili alla riconciliazione. Bevono una gran quantità di vino forte e sono davvero litigiosi quando si ubriacano. Lui ha calcolato nell’arco di un anno almeno quaranta omicidi; di sedici di questi ne è stato testimone oculare“. Successivamente, in un passo, Swinburne descrive la religiosità dei nocerini-paganesi, lasciandosi andare forse a qualche cattivo commento di troppo sulla festa della Madonna delle Galline, che aveva iniziato a svolgersi soltanto da pochi anni ed era già una ricorrenza molto sentita in tutto l’Agro: “Sono anche legati ad un gran numero di inutili superstizioni. Di queste nessuna è così singolare come la festa della Madonna delle Galline: durante la processione, centinaia di galline sono poste attaccate sui pali che sorreggono la statua e il miracolo consiste nel fatto che stiano sedute in silenzio. Il numero di persone che spinge da ogni lato, e il rumore circostante, fa rimanere le povere galline spaventate e immobili come appollaiate“. Ora resta difficile da credere che i sobborghi della Londra dell’Era georgiana fossero meno tranquilli di una Nocera descritta esageratamente pericolosa, addirittura con mendicanti e prostitute ad ogni angolo delle strade, come scrisse Carl Ulysses von Salis Marschlins, un altro viaggiatore svizzero passato di qua, parlando della città qualche anno più tardi. Come è facile percepire, Nocera dei Pagani, che comprendeva i territori attuali di Nocera Inferiore, Nocera Superiore, Pagani, Sant’Egidio e Corbara, godeva di una pessima fama a cavallo tra Settecento ed Ottocento. Ma in verità non era tanto diversa dalle altre periferie del Regno o da altri posti d’Europa, alle prese con una agricoltura arretrata, diverse malattie endemiche e tanti problemi sociali. Molti autori, inoltre, a causa della cattiva reputazione, preferivano transitare senza sostare a Nocera, nel tragitto da Napoli a Salerno, preferendo talvolta Cava come luogo di sosta. Questo, insieme ad altri fattori, ha rallentato di molto la crescita culturale dell’interno Agro, con le tante bellezze archeologiche che sono state riscoperte soltanto a partire dalla metà dell’Ottocento. Si deduce che Nocera non è mai stata una tappa del Grand Tour, pur potendo suscitare qualche interesse storico, soprattutto per i resoconti diffusi in Europa che rafforzavano le dicerie dei passanti più celebri.