Gioacchino Murat

Nel 1809 era entrato in vigore il Codice Napoleonico che lo prevedeva. La baronessa catanese Maria Paternò lo ottenne con l’aiuto di un brillante avvocato, che poi sposò
di Maria Barbagallo
Gioacchino MuratItalia, 1970: approvata la legge Fortuna-Baslini, che introduceva il divorzio in Italia, e che rischiò di crollare con il referendum per abrogarla del 1974. Referendum che vide un vero e proprio plebiscito per il No.

“Una conquista di civiltà” si disse. Ma molti dimenticano che il divorzio in Italia, anzi, nel Regno di Napoli, c’era già stato: era stato introdotto durante il Governo di Gioacchino Murat, con il Codice Napoleonico. Il divorzio visse dal 1809 al 1815, quando i Borbone riconquistarono il Regno e lo abrogarono con un decreto speciale.
Un altro primato per Napoli, città già ne detiene parecchi. il Regno di Napoli durante il governo di Gioacchino Murat fu il primo stato della penisola italiana ad ammettere il divorzio nella propria legislazione, e quegli anni per l’Italia meridionale furono una fase di risveglio e di rinascita.
Joachim Murat, Generale di brigata e aiutante di campo, era cognato di Napoleone, avendo sposato la sorella minore Carolina, il 22 gennaio del 1800.
Nel 1804 ottenne l’alto riconoscimento di Maresciallo di Francia. Nel 1808 Napoleone, dopo avere sottratto il trono ai Borbone, nominò re di Napoli il fratello Giuseppe e dopo che quest’ultimo venne chiamato al trono di Spagna, l’imperatore offrì a Murat la corona di Napoli. Durante il periodo del cosiddetto «decennio francese», Murat si distinse per le varie iniziative: fondò il Corpo degli ingegneri di ponti e strade, avviando opere pubbliche non solo a Napoli ma anche nel resto del Regno; fondò la Facoltà di Agraria; istituì un sistema di educazione e istruzione pubblica con principi di uguaglianza, ma soppresse l’antica Scuola Medica Salernitana (1811).
Ritornando al divorzio, il 1° gennaio 1809 entrò in vigore il Codice Napoleonico, che oltre al riordinamento amministrativo e giudiziario, consentiva il divorzio, il matrimonio civile e l’adozione, riforme che chiaramente non incontrarono il favore del clero.regno napoliAl tema del divorzio il filosofo Benedetto Croce dedicò uno scritto dal titolo: «Il divorzio nelle province napoletane 1809-1815». Croce trovò in tutto questo periodo pochissimi casi di divorzi (si dice che fossero stati solo tre). I giudici, infatti, erano molto restii a concederlo poiché soggetti a minacce di scomunica. Uno dei divorzi del quale Croce trovò notizie tra le carte dello Stato Civile di Napoli, fu quello per reciproco consenso dei coniugi Pasquale Pauciello e Angela Maria Francesca De Angelis, sposati il 19 dicembre 1792, senza figli.
Un altro caso fu quello della baronessa catanese Maria Paternò che chiese il divorzio e lo ottenne con procedura d’urgenza, grazie all’articolo 296 del citato Codice Napoleonico. La donna mosse al marito le accuse di «seviziatore, turpe e taccagno spilorcio». La triste vicenda che l’aveva vista coinvolta, non le aveva fatto perdere, però, la fiducia nel matrimonio, tant’è che dopo dieci mesi si risposò con il brillante avvocato che l’aveva assistita.

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