L’ex poliziotto in servizio al Commissariato cittadino finì in carcere accusato di appartenere a “Nuova Famiglia”. E lui dichiara: «Ho solo pestato piedi troppo importanti!»
di Gigi Di Mauro
«In galera ci sono andato per aver pestato i piedi a un magistrato e ad un ufficiale dei Carabinieri!». Non usa mezzi termini Tommaso Sicignano, conosciuto da tutti come Serpico, ex sottufficiale di Polizia in servizio al Commissariato di Nocera Inferiore.
Assomiglia oggi a Shel Shapiro il 62enne poliziotto burbero ma buono che tanti nocerini ricordano per il suo aspetto estroso: alto, lunga barba incolta e capelli ricci e non meno lunghi. Ed è un fiume in piena quando ci racconta la sua storia: è quella di un uomo distrutto dalle sofferenze, che da anni chiede inutilmente riparo alle ingiustizie subite. «Mio padre, anche lui poliziotto – ci dice commosso – è morto di dolore, dopo essersi rivolto praticamente a tutti, compreso l’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi».
Ha faldoni e faldoni di carte a sostegno delle sue tesi l’ex poliziotto Serpico, che per 7 anni ha scontato una pena che lui definisce inflitta solo per mettere a tacere le cose che aveva scoperto. E ha delle foto che davvero scottano!
«Secondo le accuse ero affiliato alla Nuova Famiglia, il clan di Carmine Alfieri e Pasquale Galasso che soppiantò la Nuova Camorra organizzata di Raffaele Cutolo. Ma né uno né l’altro mi hanno mai accusato. A farlo un altro camorrista poi pentito, Pasquale Loreto, ma solo “per sentito dire”. E tanti altri pentiti. Al processo, durato sei anni e svoltosi nell’aula bunker di Salerno, ho chiesto il confronto con tutti. Ricordo di uno che negò in aula con forza le accuse che secondo quanto era nelle carte del processo mi avrebbe rivolto».
– E allora come sono venute fuori queste cose che ti hanno portato in carcere per sette anni?
«Diciamo che molti colleghi non avevano in simpatia il mio modo esuberante ma concreto di agire, e per il mio rapporto “speciale” con i dirigenti. Giuseppe Ingala, per primo, poi Peppino Arace, Enrico Moia per dieci anni prima di Francesco Diruberto. Ma di contro devo dire che ero molto benvoluto dai magistrati dell’epoca, e avevo una rete di contatti e informatori davvero ponderosa. Inoltre, un militare caro ai nocerini, il capitano dei Carabinieri Gennaro Niglio, mi stimava tanto che per un lungo periodo quando finivo il servizio da poliziotto andavo a lavorare con lui».
Di operazioni in cui Tommaso Sicignano è stato principale protagonista se ne ricordano diverse: dai 12 miliardi di titoli e tante proprietà immobiliari sequestrati al boss Giuseppe Olivieri, detto Saccone, grazie a un intuizione di Serpico, alla perquisizione a casa del boss Mario Pepe che portò alla scoperta del clan Nuova Famiglia e di una lettera in cui Pepe invitava altri appartenenti alla NCO di Cutolo a passare con Galasso e Alfieri.
– Ma alla fine, quali piedi hai pestato?
«Diciamo che fui avvicinato da un ufficiale della Guardia di Finanza che mi chiese aiuto per indagare su un giro di pietre preziose in corso ad Angri, nel quale, scoprìi, era coinvolto anche un capitano dei Carabinieri oggi in pensione con il grado di generale di brigata, e che aveva anche l’hobby di giocare in borsa. A questo potente ufficiale le mie “attenzioni” non piacquero, e non me le ha mai perdonate. Aggiungiamo (e ci mostra scottanti foto) che questo ufficiale aveva rapporti di intensa amicizia con Pasquale Galasso da ben prima che questi diventasse “famoso”, e il primo tassello è pronto. Poi il magistrato, che me la giurò quando scoprìi che il medico che permetteva sempre al boss Giuseppe Olivieri di ricoverarsi all’ospedale di Cava ogni volta che c’era un provvedimento a suo carico era il cognato, e completiamo il quadro. Collaborando insieme hanno gestito la mia fine».– Si, d’accordo, ma tre gradi di processo tutti negativi …
«Hai una decina di giorni di tempo per ascoltare tutto il racconto e per vedere le carte? Già dal primo processo il mio avvocato mi disse “Tomma’, è tutto a posto”, e così anche un cancelliere ora deceduto, Franco Contursi. Ma in poche ore lo stesso cancelliere uscì con la testa bassa, passandomi davanti con le lacrime agli occhi e senza guardarmi. Era entrato dentro questo magistrato, letteralmente imponendo la mia condanna. E pesanti influenze ha posto anche sui giudici di secondo grado e quelli di Cassazione. Per non parlare della richiesta di revisione del processo. Certo, lui era nel CSM, aveva potere. Io invece ero solo un poliziotto esuberante e scomodo, soprattutto per quello che avevo scoperto. E ho pagato».