L’avvocato nocerino presidente dell’Istituto Italiano Anticorruzione rilancia l’allarme sulla superficialità di chi attraverso i social lascia enormi finestre aperte sulla sua vita personale
di Rosalba Canfora
“Io di regola non prendo decisioni, quindi se ci tieni che la pratica vada a buon fine, devi pagare“. Sembra questa ormai la maniera in cui funzionano in Italia gli uffici pubblici, come scrisse nel suo libro “Il Male Italiano” Raffaele Cantone, il magistrato che dal 2014 al 2019 è stato presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione.
Proprio per parlare di questo argomento incontriamo – a distanza di qualche anno – nuovamente il presidente dell’Istituto Italiano Anticorruzione, l’avvocato nocerino Federico Bergaminelli:
Corruzione viene dal latino corrumpere: guastare, alterare, contaminare. Perché secondo lei non tutti i paesi hanno una legge di prevenzione della corruzione?
I paesi del Nord Europa, in cui è meno percepita la corruzione, non ne necessitano, perché sono abituati a seguire regole di condotta per la gestione della res pubblica. Il male della corruzione, legato ad un retaggio culturale, trova la propria linfa nei paesi afflitti da una burocrazia pesante, come quella italiana (lo abbiamo valutato anche durante il periodo di lockdown): ciò non fa che consolidare nel cittadino medio una carenza di percezione delle regole, con la continua ricerca di scorciatoie che si traducono in cattive pratiche, dalle quali scaturisce corruzione.Quanto è camaleontica questa corruzione, passata negli anni dal fascino del dono allo scambio di favori?
È stato correttamente affermato che nell’ultimo ventennio si è passati dall’economia della mazzetta a quella dei favori. Ai tempi di mani pulite, “un cartello” di politici imponeva una tangente fissa (5%) ad ogni singolo imprenditore che, nonostante la potenza economica, poco poteva contro. Da quell’evento la dottrina studia il cosiddetto “Fenomeno Mose”, ovvero gli imprenditori vessati dal potere politico decidono di opporsi allo stesso facendo fronte comune e contrattando, alla pari, gli importi delle tangenti. Quando gli imprenditori organizzati non potendo rischiare di essere ancora coinvolti in vicende giudiziarie vanno al di là, abbiamo la seconda trasformazione: non più corruzione delle regole, ma delle norme, con leggi predisposte ad hoc affinché si possa impudentemente lucrare ai danni dei contribuenti. Nasce così la corruzione per asservimento, ovvero la prestazione resa dal corrotto finisce per “rarefarsi”, avendo ad oggetto la generica funzione o qualità del pubblico agente, il quale si impegna ad assicurare protezione al corruttore nei suoi futuri rapporti con la Pubblica Amministrazione.
C’è un rapporto tra i social e la corruzione?
Potremmo scriverci un trattato che avrebbe il solo esito di denunciare il degrado sociale e culturale delle ultime generazioni, partendo dal presupposto che il petrolio del terzo millennio sono i dati personali. La tanto vituperata privacy viene sempre più spesso lesa con la cosciente inconsapevolezza della nostra dabbenaggine. Ci sfugge che il web non dimentica nulla e che i nostri comportamenti social volutamente inconsapevoli gestiranno le nostre vite da qui all’infinito.