In un misto tra i “seggi” (oggi potremmo chiamarli circoscrizioni) e la prestigiosa razza equina del Napolitano un ricercatore partenopeo avrebbe individuato i natali dello stemma che fu di Francesco Baracca
di Orazio Mezzetti
esperto araldico
Il cavallino rampante della Ferrari ha origini partenopee? È una teoria scoperta pochissimo tempo dopo il mio trasferimento in Campania. Una curiosa teoria, molto sostenuta da una forte convinzione campanilistica, di uno studioso napoletano, Massimiliano Verde, ricercatore storico del patrimonio linguistico e culturale campano.
Di fatto, il professor Massimiliano Verde sostiene che il cavallino “rampante” in discussione sarebbe il famoso cavallo neapolitano, quello stesso che le antiche fratrie greco-neapolitane ebbero cura di immortalare nello stemma che a tutt’oggi fa sfoggio di sé nel sedile di Nido, o Nilo, sulla facciata del Museo Opere di San Lorenzo e Scavi a Napoli.
Ma allora, quale sarebbe la chiave, il nesso, che andrebbe a sostegno certo e logico di quanto asserito dal professore? La convinzione della sua teoria la possiamo “pesare” su un articolo scritto dello stesso, dove possiamo leggere: “Il nero cavallo neapolitano é dunque rappresentato “sfrenato” o per così dire rampante… su uno sfondo di color giallo… almeno settecento anni prima dell’altro cavallino quello che un certo Enzo Ferrari, pilota alla corte di Nicola Romeo (creatore dell’omonima casa automobilistica) farà correre e vincere… a partire dai progetti dell’Alfa del napolitano di Sant’Antimo… Romeo, appunto (Ferrari fu direttore dell’Alfa Corse) su tutte le piste del mondo”.
E scrive ancora sullo stesso articolo: “Ordunque se Ferrari ha utilizzato in qualità di pilota prima e direttore poi auto… motori, progetti e “diavolerie” meccaniche del patron napolitano Romeo vi sembrerebbe assurdo fare due più due anche per quanto riguarda lo “scudetto” made in Maranello … by Naples?”.
Su quanto finora letto, Il professore Verde aggiunge un limitato elenco di “circostanze probanti” a sostenere la propria teoria, che elenco qui di seguito: “Per la cronaca la Scuderia Ferrari vinse la 24 ore di Spa del 1932. Con un’Alfa Romeo e proprio con il simbolo del cavallino rampante…” e ancora: “Che l’Arma della Cavalleria Piemontese del Baracca riproponesse “casualmente” l’effige di un cavallino “rampante”/sfrenato del tutto simile a quello del plurisecolare rappresentato nel Sedile del Nilo”. E per finire scrive ancora: “ricorda che un certo… cavallo neapolitano nel 1790 lo ritroveremo in Polesine tra i “fecondatori” della razza Lipizzana… il tutto ci pare un insieme di troppe coincidenze che coincidono, per dirla alla De Curtis”.
Ecco, i testi parlano da soli e non rafforzano affatto la improbabile teoria della napoletanità del “cavallino rampante”, definizione quest’ultima impropria, usata purtroppo da sempre, quando, in araldica, questo tipo di cavallino viene definito con il giusto termine che è quello di “inalberato” o “spaventato”, e mai rampante, né tanto meno sfrenato.
Nella realtà il cavallino nero su fondo giallo ha una sua storia, tutta particolare, che ci riporta all’asso dell’aviazione italiana, il maggiore Francesco Baracca, eroe della Grande Guerra.
Faceva parte della 70ª Squadriglia, unità che portava come simbolo araldico un grifo dipinto sulla parte destra della fusoliera, mentre nella parte sinistra, ad imitazione degli usi dei cavalieri medievali, ogni pilota sceglieva il proprio simbolo personale, e, Baracca scelse un cavallino “rampante” nero in campo bianco. L’insegna personale poteva essere effigiata sulla fusoliera del proprio caccia solo dopo aver raggiunto un numero minimo di 5 aerei nemici abbattuti in combattimento, traguardo che portava anche al riconoscimento del titolo di Asso dell’Aviazione.
Con la tradizione dell’inserimento di una figura allegorica sulla fusoliera, si va quindi a perpetuare quella medievale dei cavalieri nella cerimonia di investitura, che, dopo la notte della veglia delle armi, venivano creati cavalieri, con la consegna, dopo la benedizione delle armi, degli speroni, della spada e dello scudo che era di un unico smalto: d’argento. L’arma da difesa era quindi priva di figure, ed il neo cavaliere attendeva un’occasione propizia, per qualche impresa o merito speciale, per poter caricare lo scudo con delle figure allegoriche a ricordo del fatto eroico.
Si dice che Baracca scelse la figura del cavallino attingendolo dallo stemma del reparto di cavalleria da cui proveniva, il Reggimento “Piemonte Reale Cavalleria“, ma io preferisco accogliere quella teoria del rituale bellico-cavalleresco dell’epoca. Ovvero dell’usanza che, a ricordo dell’avvenimento, venisse adottata come insegna quella del quinto nemico abbattuto, che era, in questo caso, un aereo tedesco Aviatik, o secondo altri, un Albatros B.II, guidato da un aviatore di Stoccarda, che portava la figura di un cavallo, simile a quello presente nello stemma della città tedesca.
Alcuni anni dopo il termine della prima guerra mondiale, nel 1923, la madre di Francesco Baracca propose ad Enzo Ferrari di utilizzare l’emblema della fusoliera del caccia di suo figlio, il “cavallino rampante”, dicendogli queste testuali parole: “Ferrari, metta sulle sue macchine il cavallino rampante del mio figliolo. Le porterà fortuna”. Il “cavallino rampante” ebbe infatti grandissima fortuna, ed è oggi uno dei brand più conosciuti e famosi del mondo. Questa è la storia ufficiale, riccamente avvalorata da un’infinità di documenti e indiscusse testimonianze.