La denuncia arriva da alcuni esercenti del mondo della ristorazione a Nocera Inferiore, impossibilitati a trarre benefici reali a causa delle disposizioni attualmente vigenti e preoccupati per dipendenti e clienti
L’Ordinanza Regionale n. 39 ha permesso a bar, pasticcerie, gelaterie ed attività ristorative di rialzare le serrande, a partire da lunedì 27 aprile, dopo oltre cinquanta giorni di chiusura, con l’obbligo di effettuare esclusivamente consegne a domicilio in fasce orarie stabilite.
Le disposizione del Presidente del Consiglio dei Ministri, prima bocciate poi avallate dal presidente della Campania Vincenzo De Luca, consentiranno anche l’asporto a partire dal 4 maggio.
Condizioni che, evidentemente, non soddisfano a pieno i titolari di diverse attività di Nocera Inferiore, che attendono ancora prima di ripartire. «Abbiamo deciso di non riaprire con il vincolo di consegna a domicilio in quanto è stato valutato che tale opzione non copre i costi di gestione – ci dicono i proprietari della braceria“Ai Ferri Corti” – il nostro prodotto, inoltre, non è adatto all’asporto perché va consumato sul posto. Per quanto riguarda l’apertura del 1 giugno mi auguro che lo Stato ci metta in condizione di lavorare in modo adeguato e senza restrizioni che danneggerebbero ulteriormente l’attività. Se le famiglie non tornano a lavorare e a percepire uno stipendio mensile è inutile che attività come la mia riaprano i battenti, in quanto non di prima necessità».
Altro aspetto da non trascurare dell’annosa vicenda è la tutela della salute della clientela e del personale dei locali: «Il 27 aprile abbiamo deciso di non aprire perché non sussistevano ancora le condizioni di sicurezza per i nostri dipendenti e per tutta la clientela – ci dicono dal bar “Aperi 10” – avevamo ancora dubbi, visto che il contagio non si era fermato. Negli ultimi giorni i numeri in Campania e in provincia di Salerno fanno ben sperare. Per tale ragione abbiamo deciso di ripartire da lunedì. Ovviamente abbiamo provveduto alla sanificazione dei locali e ci preoccuperemo di tutelare l’integrità del nostro personale».
Stessa data di apertura anche per la pizzeria “Pulcinella”: «Lunedì scorso non era sensato riaprire, anche perché i tempi per la sanificazione dei locali erano estremamente ristretti. In una prima ordinanza obbligavano addirittura il pizzaiolo a indossare il camice, un suicidio per chi lavora a temperature così alte. Ci siamo attrezzati e dal 4 maggio faremo un tentativo. Mi sento discriminato, rispetto ad altre attività quali supermercati, panetterie, macellerie e pescherie che hanno lavorato tranquillamente, con un bel flusso di clienti sia all’interno che all’esterno dei locali. Sarà un anno difficile, ma nel rispetto delle regole e con un pizzico di attenzione ne usciremo».
Apertura rinviata al primo giugno, o comunque alla data che verrà stabilita per accogliere i clienti all’interno del locale, anche per “Raro cantina di emozioni”: «La nostra attività di ristorazione non ha nulla a che vedere con consegne a domicilio e asporto – spiegano i proprietari – non abbiamo mai lavorato in questo modo e non ci è sembrato il caso iniziare proprio ora, anche perché non ci sarebbe stato un ritorno economico. Chiediamo al Governo di anticipare la riapertura al pubblico, magari anche al 18 maggio. Più passa il tempo e più diventa difficile resistere alla crisi economica. Ovviamente siamo pronti ad attuare tutte le precauzioni igienico-sanitarie del caso, a tutela innanzitutto del nostro personale. Siamo pronti ad accogliere i nostri clienti nella grande famiglia che si è formata negli ultimi anni».
Serrande ancora abbassate anche per il bar “De Pascale”: «Sto combattendo una battaglia, ma in pochi la pensano come me a Nocera – tuona il titolare – non sussistono le basi per aprire un’attività in queste condizioni, visto che non incassiamo un euro da due mesi ma le spese di casa e del locale non mancano. Asporto e consegne a domicilio rappresentano solo una parte del nostro indotto: saremmo penalizzati anche in questo, visto che i negozi sono chiusi e il pubblico sarebbe ridotto al 15%. Sarebbe stato opportuno imporre la chiusura fino a giugno ricevendo sostegno economico adeguato. Lo Stato, invece, ci ha completamente abbandonati. In due mesi abbiamo ricevuto la miseria di 600€. È impossibile, in questi termini, mandare avanti una famiglia e progettare la riapertura dell’attività».