Omaggiati nel luogo della loro morte, furono trucidati nel 1944 a Cuneo e a Pralungo. Solo dal 2008, in occasione del 60° della Costituzione, una lapide li ricorda nel palazzo di città
di Angelo Verrillo
In queste settimane, la battaglia che si sta combattendo contro il nemico invisibile, è stata spesso definita come una guerra. Si è pure osservato, giustamente, che l’aspetto più triste e sgradevole delle morti giornaliere è la solitudine con la quale i caduti se vanno: senza l’ultimo abbraccio dei familiari e senza neppure l’ultimo saluto degli amici.
Pensando a queste due affermazioni, vorrei far osservare che la seconda è diretta conseguenza della prima: in tutte le guerre si muore soli. Nessun caduto in battaglia è stato mai confortato da un ultimo abbraccio e molto spesso, non ha ricevuto neppure un funerale che lo accompagnasse nell’ultimo viaggio.
È vero però, che i più fortunati tra i morti in guerra, finito il conflitto, venivano ricordati con cerimonie e ricordi impressi in una lastra di marmo. A molti di loro, tuttavia, il destino ha riservato una sorte ancora più triste e dolorosa: l’oblio.
Durante l’ultima guerra, la notizia della morte di un figlio, di un padre, di un marito, arrivava da posti lontani ai familiari, che spesso non conoscevano neppure i nomi di quelle località. Non c’era tempo per chiarire le circostanze, non era neppure tanto importante sapere di più e ciò avveniva, in particolare, nelle famiglie più povere: era più importante sopravvivere.
Mi è capitato così, di scoprire che due miei concittadini, caduti eroicamente durante la lotta di Liberazione, venivano ricordati e onorati nei luoghi in cui persero la vita, nel mentre nessuno dei suoi concittadini ne sapesse niente. Neppure tra gli abitanti degli storici quartieri dove erano nati e dove avevano trascorso la loro breve esistenza: Capocasale e Piedimonte di Nocera Inferiore.
La prima volta mi capitò quando appresi della vicenda umana di Antonio Tramontano (Totò). Era nato il 3 maggio 1922, di mestiere faceva il muratore ed abitava con la famiglia a Piedimonte di Nocera, al primo piano del civico 52.
Nell’inverno del 1944 faceva parte della XI Divisione Garibaldi, attiva nel cuneese. Nel mese di novembre partecipò ad un combattimento a Castelletto di Busca e venne catturato dai tedeschi insieme ad alcuni compagni, tra i quali la nota comandante partigiana Maria Luisa Alessi.
I prigionieri furono trasferiti nel carcere di Cuneo nel settore riservato ai politici. Dopo qualche giorno, nel piazzale della stazione, venne ucciso il maresciallo Bernabè, noto esponente del fascio locale.
Due giorni dopo, le autorità militari fasciste decisero la rappresaglia e fecero fucilare, sullo stesso luogo dell’uccisione di Bernabè, 5 prigionieri politici, tra i quali la Alessi e Tramontano. Sul luogo dell’eccidio, dopo la liberazione, venne eretto un ceppo e una targa a onore e memoria di quei martiri. Il 23 aprile 2009, in un altro lato della stessa piazza, la città di Cuneo fece apporre una seconda lapide, con i nomi e le città di origine delle vittime.
Dopo qualche tempo, venni a conoscenza di una vicenda analoga che, guarda caso, riguardava un altro mio concittadino. Si chiamava Salvatore Iannone (Jenno), era nato a Capocasale di Nocera, il 2 gennaio 1924, faceva il contadino e abitava a Via Strettola 17.
Jenno fece parte della 5a Divisione Garibaldi e della 75a brigata Garibaldi. Nel mese di agosto del 1944, la 75° prese d’assalto il caposaldo fascista della Valle dell’Elvo, predisponendo anche azioni diversive con attacchi ai presidi fascisti di Pralungo e Cossilla-Favaro.
Proprio a Pralungo, nella notte tra l’11 e il 12 agosto del 1944, il gruppo di cui faceva parte Salvatore, si venne a trovare sotto il fuoco delle camice nere che disponevano dell’aiuto di un faro che illuminava lo spiazzo antistante il Palazzo del Comune, dove si erano asserragliati. Fu a quel punto che Salvatore, con grande audacia, cercò di avvicinarsi al faro per distruggerlo e venne prima ferito gravemente e poi catturato ancora in vita.
Il giorno dopo venne fucilato, anche se la sua morte venne ufficializzata solo venti giorni dopo. Solo alcuni mesi dopo il Comune di Pralungo fu messo in grado di dare notizia della morte al Comune di Nocera Inferiore, quando i suoi compagni chiarirono che Jenno era solo il suo nome da partigiano e che in realtà si trattava di Salvatore Iannone, il ragazzo di Capocasale.
Da molti decenni i loro nomi erano elencati negli archivi dell’ANPI ma, solo grazie al lavoro della sezione di Salerno e del suo presidente, dottor Ubaldo Baldi, oltre a quello della Fondazione Galante Oliva, la loro storia è diventata nota anche nella città dell’Agro.
Infatti, nel 60° della Costituzione, sulla scalinata che conduce agli uffici del Comune di Nocera Inferiore, venne scoperta una lapide che perpetua la memoria dei due partigiani, rimasti a lungo nell’oblio.