Era il 1920 quando il fondatore della Camera del Lavoro cittadina fu eletto. Nel 1912 fu mandato dal Partito socialista a dirigere quelle di Mirandola, Ancona e Ferrara. Lì avrebbe conosciuto Benito Mussolini
di Angelo Verrillo
Giuseppe Vicedomini divenne sindaco di Nocera nel mese di novembre del 1920. In quel periodo, la violenza delle squadre fasciste era già cominciata: nel 1919 a Milano fu devastata la sede de l’Avanti e da quel momento divennero sempre più frequenti gli assalti armati alle Camere del Lavoro e alle Case del popolo.
Nel 1920 fu distrutta la Camera del Lavoro di Bologna e l’anno dopo anche quella di Nocera fu violentemente occupata e devastata. Nella nostra città i fascisti occuparono anche un Circolo ricreativo a Casolla perché frequentato da elementi sovversivi.
Ben presto, anche i prefetti cominciarono a fare intense pressioni sui sindaci socialisti perché rassegnassero le dimissioni. Pur opponendo una stregua resistenza, Vicedomini fu costretto a cedere e rassegnò le dimissioni nel mese di ottobre del 1922. Subito dopo la Marcia su Roma, si allontanò da Nocera ed entrò in clandestinità. Fu condannato in contumacia a due anni di confino ma venne poi scagionato in accoglimento di un suo ricorso avverso alla pena inflitta.
Nel corso degli anni, ho maturato la convinzione che, da quel momento Vicedomini assunse un atteggiamento che definirei di “antifascismo silenzioso” e che quella scelta fu per lui, oltre che estremamente dolorosa, anche obbligatoria. Pesava, infatti, sulle sue spalle la responsabilità di una famiglia che comprendeva gli anziani genitori, la moglie e ben otto figli: non poteva permettersi di abbandonarli, nel caso molto probabile fosse finito in galera o al confino.
Negli anni trenta, il podestà di Nocera diede a Vicedomini l’incarico di tenere dei corsi di formazione per i giovani sulla storia della città. Anche senza averne documentazione, presumo che a conferirgli quell’incarico possa essere stato Attilio Barbarulo (anche per aiutarlo economicamente), ma l’iniziativa non ebbe seguito perché vi si opposero le autorità fasciste.
Alla fine della guerra, il 19 settembre 1944, essendo l’ultimo sindaco democraticamente eletto, le truppe alleate lo richiamarono sul Comune con l’incarico di sindaco straordinario: mantenne tale carica fino al 17 gennaio 1946, quando fu sostituito da un commissario prefettizio.
In effetti, Vicedomini subì per la seconda volta una inaudita violenza. Con la differenza che, in questa occasione, la violenza non arrivò dai fascisti o dal Prefetto ma, dal fuoco amico di presunti “ambienti di sinistra” sotto la forma della calunnia. Tali cattiverie furono anche facilitate dal presunto, ricordato e passato rapporto di amicizia con l’ormai ex Duce.
In realtà, al sindaco si addebitava non solo il reato di non essersi fatto ammazzare ma, anche, di non essersi fatto neppure qualche anno in galera o al confino in qualche isola sperduta.
Dopo di allora, di Vicedomini, che all’epoca aveva 65 anni, non si ritrovano ulteriori pubbliche testimonianze.