È boom di gruppi su Facebook che segnalano persone che non rispettano l’obbligo di restare nella propria abitazione. Ma la “giustizia fai da te” potrebbe rivelarsi pericolosa, con concreti rischi penali
di Nello Vicidomini
In un momento delicato della storia d’Italia, con l’emergenza Covid-19 che ha costretto il Governo ad adottare misure restrittive per tutti i cittadini al fine di arginare il contagio, c’è chi cerca di “aiutare” le istituzioni e le forze dell’ordine in diversi modi, spesso non riflettendo su eventuali conseguenze di comportamenti potenzialmente illeciti.
Nelle ultime settimane, infatti, sui vari social, si sono moltiplicati gruppi pubblici e privati, ma anche profili di singoli utenti, nati con lo scopo di segnalare coloro che uscirebbero di casa violando le regole. Come? Condividendo fotografie di chi passeggia o di chi fa jogging, apostrofando questi ultimi con parole poco gradite nelle descrizioni delle foto. Spuntano anche video in cui il protagonista offende gratuitamente qualche passante direttamente dal proprio terrazzo. Ciò che preoccupa di tutto il materiale postato in rete, però, è l’enorme quantità di riprese dei volti, di targhe dei veicoli o di numeri civici e ingressi di abitazioni private. Insomma, dati personali che rischiano di far passare i “giustizieri” dalla parte del torto. In tutto questo, non si può sapere con esattezza per quale motivo la persona inquadrata sia uscita di casa, poiché, come è ben noto, l’ultimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, consente spostamenti per motivi di salute, di lavoro e di necessità, come quella di effettuare la spesa. Agire d’impulso, quindi, può rivelarsi un errore e può dare vita ad incomprensioni e ad episodi poco gradevoli. Come quanto è successo qualche giorno fa a Salerno ad una farmacista, colpevole soltanto di recarsi a lavoro in bici: per lei insulti e una secchiata d’acqua dal balcone. A raccontarlo è stata lei stessa sul proprio profilo. Invece di fotografare, è consentito segnalare eventuali trasgressori delle norme alle autorità competenti, anche la Polizia locale, le uniche ad avere il compito di far rispettare le misure previste. A loro, e soltanto a loro, è possibile inviare la documentazione fotografica che ritrae casi sospetti. Nonostante il momento di emergenza, la legge in materia è chiara: tutto ciò che identifica una persona è un dato personale e non può essere divulgato in rete senza il consenso preventivo dell’interessato. E per rete si intende qualsiasi forma di condivisione tramite internet, quindi anche sistemi di messaggistica istantanea come WhatsApp e le email, attraverso cui si configura il reato di diffamazione, che ricade nel penale. I soggetti fotografati hanno infatti il diritto di querelare chi ha postato la foto, con aggravanti nel caso di commenti offensivi e denigranti correlati. E anche chi mette un like e commenta rischia. Allo stesso modo è possibile richiedere la rimozione dei contenuti agli stessi social network, responsabili dei dati personali secondo la normativa sui provider, qualora si configuri un reato sulla loro piattaforma.