Dopo quindici anni di lungaggini burocratiche un nulla di fatto nega alle vittime e ai loro familiari quella giustizia che invano hanno atteso per tanto tempo
Chiederanno la revoca della concessione alla Beton Cave i componenti di “Rete difesa del territorio“, “Comitato antibarriera” e “Comitato vittime frana di Montalbino” dopo la conclusione con la prescrizione del processo bis per la frana di Montalbino:
«È il giorno in cui hanno perso tutti. Quindici anni dopo la strage – dicono gli attivisti – la giustizia non è riuscita a dare un giudizio ai familiari delle vittime e alla città non è stata riconosciuta dal giudice Donnarumma la verità, quella verità emersa chiaramente durante i due dibattimenti processuali. Ieri il Procuratore capo Lenza aveva tenuto una durissima requisitoria: la società Beton Cave è totalmente responsabile della frana che il 4 marzo del 2005 si staccò dalla montagna causando la morte di tre persone: i coniugi Rosa e Mattia Gambardella e Alfonso Cardamone.
Del resto i giudici del primo processo avevano riconosciuto pienamente la responsabilità del proprietario della Beton Cave, Franco Amato, nel tragico evento e, allo stesso tempo, anche la sua estrema spregiudicatezza nello sfruttamento delle risorse del territorio. Un riconoscimento che gli costò la condanna per omicidio e frana colpose.
«Solo un “vizio di notifica” aveva annullato il primo processo e, oggi – continuano i componenti dei tre comitati – l’incomprensibile riconoscimento all’imputato delle attenuanti generiche ha fatto sì che il reato andasse in prescrizione, impedendo la condanna processuale. Il giudice Raffaele Donnarumma, al quale già qualche anno fa avevamo chiesto di accelerare i tempi per evitare che reati così gravi andassero in prescrizione, tra pochi giorni lascerà il Tribunale di Nocera e di certo non verrà ricordato dalla città per il suo coraggio: alla fine ha deciso di non decidere, dimostrandosi poco attento e sensibile all’importanza di un processo che avrebbe meritato una sentenza chiara».
Nessuna amministrazione si era mai costituita parte civile, come ricordano gli attivisti: «Secondo il nostro parere, le responsabilità su quanto accaduto ed ancora accade sotto gli occhi di tutti vanno oltre il proprietario della cava e dovrebbero includere anche i livelli politici e amministrativi locali e regionali che hanno concesso autorizzazioni discutibili e paradossali.
Alla fine resta l’amaro in bocca: dopo 15 anni non solo giustizia non è stata fatta, ma la cava è ancora lì in piena attività e su una montagna fragilissima. Una beffa per i familiari delle vittime e per l’intera città che avrebbero meritato un epilogo ben diverso».