Erano gli anni in cui ci si riuniva al rientro dalle vacanze per vedere le foto dell’estate, ed era sempre una festa. E i fotoromanzi di GrandHotel con le nuvolette e Franco Gasparri
di Rosalba Canfora
Quando da piccola entravo con mio padre nell’edicola, la prima aperta in paese proprio da mio nonno, l’odore che avvertivo era inebriante! Allora, naturalmente, non conoscevo questo termine, inebriante, né la carta stampata, ma sapevo che ero irresistibilmente attratta dall’odore di quel posto, tanto quasi come da quello della nutella!
Sul bancone erano ben ripiegati dei giornali enormi che non riuscivo neanche ad aprire, le cui immagini non mi interessavano, perché erano tutte in bianco e nero, tranne un giornale rosa, che era quello che leggeva sempre il mio papà perché “raccontava” il ciclismo; c’erano, poi, le riviste per le signore, mi riferisco al GrandHotel e ai fotoromanzi con le parole nelle nuvolette, che spesso ci si scambiava per poterne leggere di più senza comprarne tanti, come faceva anche mia mamma. Io, invece, adoravo leggerli con mia cugina sdraiate sul lettone: per noi era solo un gioco per fare tante facce strane e voci da grandi, diverse dalle nostre vocine … non sapevamo che stavamo già recitando!
All’inizio, il mio angolo preferito era in fondo al negozio, dove trovavo le riviste illustrate per noi bambini, i fumetti di Topolino, il Corriere dei Piccoli con le storie del Signor Bonaventura e il suo famoso Milione, gli album per la raccolta delle figurine (quali Pinocchio piuttosto che Vesti anche me) e, infine, i quaderni dalle diverse righe e gli album da disegno.
Anche perché l’angolo opposto era severamente vietato: là venivano conservate tutte le “carte importanti”. Quando sapevo di non essere vista, però, mi ci infilavo comunque, e non di certo per i documenti che non mi interessavano affatto, ma per giocare coi tasti della macchina da scrivere, la Lettera 22: era divertente vedere le astine delle lettere alzarsi come tanti soldatini, mentre il nastro dell’inchiostro nero e rosso (le cui macchie riuscivano puntualmente a farmi sbugiardare!) avanzava avvolgendosi nelle rotelle laterali.
Ai lati dell’entrata, c’erano sempre delle pile di giornali chiuse con lo spago e con la scritta “RESI” che usavo come sgabello e che, a volte, erano anche più alte di me! E le cartoline illustrate delle piazze delle città che giravano sulla padana come una giostra? E poi, c’era quello scaffale in legno pieno zeppo di libri dalle belle copertine; ricordo che ne prendevo sempre qualcuno, lo aprivo quanto bastava per ficcarci il naso dentro e annusare, solo il tempo per la solita raccomandazione: “Fai attenzione a non sgualcirlo, altrimenti non se lo comprano più”. Più tardi è diventato questo il mio angolo preferito: ho cominciato a leggerli quei libri e, grazie a loro, ho girato il mondo e conosco posti dove non sono mai stata e sensazioni che non ho vissuto personalmente; probabilmente, è anche questo il motivo per cui da grande ho coltivato la Passione per il Gioco serio del Teatro, che mi fa vivere tante altre vite oltre la mia, insomma, sempre piene di emozioni diverse ogni volta.
Forse, proprio allora cominciai a scrivere il mio primo diario, “lungo” circa quarant’anni e non ancora terminato, grazie ai quaderni con la copertina nera, dai fogli sottili di colore giallo che sapevano di vecchio, dal bordo rosso che si vedeva bene a quaderno chiuso, che mi regalarono perché erano un fondo di magazzino e non si potevano più vendere. Se non li conoscete, pensate ai taccuini della Moleskine, questi ne sono un’ottima imitazione, cambia solo la carta, così com’è cambiata nel corso degli anni anche quella del racconto della mia vita. Il mio è stato sempre un diario un po’ particolare: da un lato, ho raccontato i momenti più significativi e, dall’altro, ho sempre annotato le frasi che “incontro” e che più mi coinvolgono, riportando il nome delle persone che me le hanno regalate (amici, parenti, conoscenti, come pure personaggi storici e famosi).
I miei erano gli anni in cui ci si riuniva al rientro dalle vacanze per vedere le foto dell’estate ed era sempre una festa, perché si stava insieme a chiacchierare per ore, ridendo rumorosamente e a fare merenda, magari ascoltando in sottofondo l’ultimo LP appena comprato! Lo stesso accadeva per le foto delle feste dei nostri 18 anni, per le gite scolastiche e per i saggi di ginnastica artistica e di danza o per commentare le frasi più significative tra quelle che avevo raccolto! Avevo anticipato Facebook, forse? FB cartaceo?! E i commenti sui vestiti e le pettinature, quante risate!! Quelli erano “gli inciuci buoni”, quelli innocenti, come piace definirli a me.Senza che me ne rendessi conto, abbiamo cominciato a scambiarci SMS, E-mail, a parlare in chat di Messanger piuttosto che di WhatsApp, a leggere giornali e libri on-line, a sapere cosa succede da Twitter, a vivere con Facebook che sembra aver cambiato il ritmo delle nostre vite: obbligo far sapere cosa hai mangiato, in quale posto, con chi, in quale occasione, com’eri vestito, cosa pensavi in quel giorno e a quell’ora, il tuo stato, lo chiamano … “Tutti-conoscono-tutto-di-tutti, senza sapere assolutamente niente!”.
Pian piano ci siamo letteralmente “persi di vista” per essere “sempre più a portata di tastiera”. Gli incontri sono diventati sempre più radi; le foto sono finite tutte su Instagram e le belle cartoline illustrate sono rimaste un ricordo per i collezionisti (non per me, ovviamente, le conservo e ne invio ancora!); esaurito l’inciucio innocente, è rimasto quello malato, padre di tanti malintesi, oltre a quello della politica.
E Internet, che era nata per essere una importante occasione di scambio veloce ed intelligente di informazioni, viene utilizzata come un’enorme piazza, ad imitazione dei bei cortili di una volta, per “raccontarsi” a tutti indistintamente, pur di diventare protagonisti per pochi minuti.
E i profumi delle persone? Il suono felice delle nostre risate? L’ansia e la gioia degli sguardi? E le mani che si sfioravano? E quell’odore della carta stampata che mi aveva accompagnata negli anni? E le ore passate a telefono, nascosti in bagno a “flirtare” mentre la mamma ci ricordava gentilmente quanto era salata la bolletta? Oggi i telefoni non squillano più, sono diventati solo uno strumento per leggere e scrivere per scambiarsi messaggi … anche le avances “passano” attraverso WhatsApp, che tristezza!
P.s. Perché, mi chiederete, allora ho scelto di affidare queste righe ad un giornale on line? Perché so che proprio questo è il modo migliore, con un sol click intelligente, di raggiungere tanti di voi e dire quello che penso.