Azadeh Pourzand, attivista iraniana, è stata ieri ospite della sezione Agro Nocerino dell’organizzazione in un convegno tenutosi nell’aula consiliare. «La comunità internazionale non deve farci sentire soli in questa battaglia»
di Valentina Milite
Si è tenuto ieri pomeriggio, 9 dicembre, presso l’aula consiliare del Comune di Nocera Inferiore l’incontro organizzato dal Gruppo Amnesty 261- Agro Nocerino, con la ricercatrice, attivista e difenditrice dei diritti umani iraniana, Azadeh Pourzand.
Il convegno è stato aperto dall’avvocato Luisa Citro Calabrese, da anni attivista Amnesty del gruppo nocerino, che ha introdotto l’ospite d’eccezione dell’evento ed accennato alla sua vita personale e professionale. È seguito poi l’intervento di Tina Marinari, coordinatrice delle campagne di Amnesty International Italia, che ha ricordato l’appuntamento annuale che ricade in questo periodo per Amnesty, ovvero la campagna “Write for Rights” (nel quale veniva inquadrato anche questo appuntamento), che consiste in una maratona globale di raccolta firme ed invio di appelli e lettere in favore di uomini e donne che si battono o si sono battuti per i diritti umani e che coinvolge ogni anno oltre 80 Paesi del mondo.
Nel 2019 in particolare la campagna è stata dedicata ai giovani attivisti che stanno scendendo di nuovo in piazza per difendere le persone ed i diritti umani, ma anche la natura, l’ecosistema ed i centri rurali dai grandi interessi economici; come accade ad esempio in Nigeria, dove la crescita economica e l’erosione urbana sta invadendo e distruggendo i villaggi più esterni in favore della nascita di centri commerciali e nuovi complessi urbani. Processo di distruzione per cui 30000 persone sono state sfrattate, spesso con l’uso della forza, di notte e senza preavviso dalle milizie governative e per cui il giovane attivista Nasu Abdulaziz è stato più volte arrestato e ferito. Ma anche un altro episodio a noi più vicino geograficamente coinvolge due giovani attivisti (il cui caso è stato anch’esso adottato da Amnesty), quello di Sarah Mardini (rifugiata siriana) e Sean Binder, arrestati in Grecia ed ora a rischio di 25 anni di carcere per aver aiutato dei rifugiati in mare sull’isola di Lesbo. O ancora il caso della giovane filippina Marinel Ubaldo che dopo il tifone del 2013 che causò 6000 vittime e la distruzione di interi villaggi, si batte per una presa di coscienza internazionale del cambiamento climatico e per azioni tempestive.
O anche, infine il caso della giovane iraniana Yasaman Aryani, di cui ha anche parlato Azadeh nel suo intervento, che durante la giornata internazionale delle donne, l’8 marzo 2019 insieme a sua madre si fece riprendere mentre in un vagone femminile della metro si toglieva il velo e distribuiva fiori alle donne, abbracciandone una velata e dicendo “me without the hijab and you with the hijab” (io senza velo, tu col velo), frase che diverrà poi simbolo e slogan della lotta delle donne e ragazze iraniane (velate e non) contro l’obbligatorietà di indossare l’hijab, che dovrebbe essere appunto una libera scelta, non un’imposizione legale. Per questo motivo e per aver promosso di togliere il velo, Yasaman è stata accusata di “incitamento ed istigazione alla corruzione e prostituzione” e condannata a 16 anni di carcere. Azadeh ha sottolineato come, benché sia importantissimo il ruolo degli attivisti nel mondo e di coloro che pur non abitando più in Iran, cercano di sensibilizzare la comunità internazionale sui problemi interni del suo Paese; sia grazie a questi coraggiosi ragazzi che stanno scendendo in piazza per rivendicare i propri diritti in prospettiva di un rinnovamento delle leggi e delle istituzioni (spesso purtroppo a costo della propria vita), che un cambiamento nel prossimo futuro sarà forse possibile.
Tuttavia, la giovane ricercatrice iraniana teme che prima di giungervi ci saranno molti altri scontri e “sangue versato”, perché il movimento di ribellione giovanile in Iran e soprattutto quello femminile diventa sempre più forte e con i nuovi mezzi di comunicazione, quali ad esempio i social, riesce a comunicare facilmente all’esterno del Paese, coinvolgendo l’opinione pubblica internazionale; cosa che spaventa molto il governo, che si sta mostrando sempre più irreprensibile e violento nel sedare le proteste e chi le difende e sostiene pubblicamente anche in sede legale.
È di solo qualche settimana fa, infatti la notizia divulgata da Amnesty di una rappresaglia delle forze governative, in occasione di una manifestazione giovanile contro il caro vita e la crisi economica che sta colpendo il Paese, che ha causato più di 200 morti ufficiali tra i civili. Dati non confermati parlano invece di 700 vittime, tra cui principalmente giovani che erano in strada a manifestare, ma anche ragazzini di 13/14 anni che a quell’ora rientravano a casa da scuola.
Azadeh ha anche ricordato il caso di Sahar Khodayari, la giovane iraniana, soprannominata “the blue girl” (la ragazza blu, per il colore della squadra di calcio di cui era tifosa e di cui si era vestita) che il 12 marzo scorso travestitasi da uomo, tentò di accedere allo stadio dove giocava la sua squadra del cuore. Un semplice gesto che per molte ragazze nel mondo risulta scontato, ma che è negato alle donne iraniane e per cui Sahar è stata arrestata e condotta davanti al tribunale di Teheran, dove lo scorso settembre si è data fuoco in segno di protesta ed è deceduta in seguito alle gravi ustioni riportate.
A conclusione del suo intervento interamente in lingua inglese, quella del Paese (gli Stati Uniti) che, da quando aveva 13 anni ed è dovuta emigrare dall’Iran a causa delle persecuzioni politiche subite dalla sua famiglia, l’ha accolta, Azadeh dice: «A volte penso che mio padre sia morto perché voleva offrirmi una vita migliore ed oggi ragazzi che hanno l’età che avevano i suoi figli all’epoca, stanno ancora lottando per ottenere gli stessi diritti per cui ha combattuto lui. Sono convinta che ciò che possa fare la comunità internazionale per aiutare il mio Paese, sia quello che si sta facendo anche oggi in quest’aula, che i Paesi, i governi occidentali, gli studiosi e gli studenti mostrino il loro appoggio alla causa degli attivisti, dei giovani difensori per i diritti che si battono coraggiosamente in prima persona in Iran, perché non si sentano soli, cosa che il governo iraniano cerca di fare costantemente, facendo credere ai dissidenti politici che nessun altro nel mondo si curi di loro e delle loro battaglie».